Josef Kleindienst
Nato nel 1972 a Spittal/Drau, vive a Vienna. Studi di filosofia, drammaturgia, filologia germanica e spagnolo presso le università di Vienna e di Amsterdam, e all’Università per l’arte applicata di Vienna (cattedra di filosofia, estetica).
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Videoritratto
Video: Anna Ceeh
Kamera: Wolfgang Haas
Musik: Infra Red Army
Josef Kleindienst
Escursione
Tradotto da Vito Punzi
Fissò la fune al paraurti e poi legò l’altro capo al collo di lei. Era un giorno assolato d’inizio autunno e i boschi tutt’intorno era silenziosi. Fissò il suo grazioso collo dal quale ora penzolava la fune. Poi si voltò e salì in auto. Albert, che per tutto il tempo era rimasto seduto lì dentro, lo guardò intontito mentre girava la chiave d’accensione.
“La ucciderai ancora”, pensò Albert, accendendosi una sigaretta. “Ma che, è brava a correre”, ribatté Wolfgang. Poi accese l’auto, una vecchia Ford Mustang. “E che ne facciamo di lei, quando tutto sarà passato?”, voleva sapere Albert. “Non dirà nulla, la conosco”. “E se non sarà così?” “Non fare lo sciocco, questa è semplicemente una scarrozzata. Le farà anche piacere”, rispose Wolfgang. Albert tirava nervosamente dalla sua sigaretta. Wolfgang accese la radio e guardò nuovamente verso Silke che se ne stava ancora sul prato con la fune attorno al collo, mise la marcia e premette il piede sull’acceleratore, le ruote iniziarono a muoversi e lentamente la fune si tese.
Quando il giorno prima avevano aspettato Silke la decisione l’aveva presa immediatamente. Non aveva avuto una buona giornata e gli era venuto in mente che Silke continuava ad essergli debitrice di venti euro. Se non era in grado di restituirglieli allora quei venti euro doveva guadagnarseli, pensò. Albert era in piedi davanti a lui e fumava la sua sigaretta. “O paga, o lavora”, mormorò Wolfgang a tra se. “Guarda, arriva Silke”, disse Albert e soffiò via il fumo. Wolfgang voltò la testa e la vide trotterellare sui binari ferroviari. Silke fece un cenno. Lontano, dietro di lei, Wolfgang vide avvicinarsi lentamente il treno, che in lontananza gli ricordò il modellino di suo fratello piccolo. Guardò oltre i campi e poi di nuovo Silke, che nel frattempo aveva abbandonato i binari. Portava un Anorak grigio e blu scuro e jeans attillati. “Ciao”, disse loro. “Hai con te i venti euro?”, chiese subito Wolfgang, senza rispondere al suo saluto. Silke tirò il viso. Il tono aggressivo della sua voce la irritò. “Ti ho detto che li riceverai alla fine del mese”. “Me lo hai già detto anche l’ultima volta”. “Ma sono solo venti euro”. “Certo, ma sono i miei venti euro”, Wolfgang era furibondo. Albert li guardava entrambi attonito. Lui non sapeva nulla dei venti euro e si sentì ignorato, poiché di solito Wolfgang gli raccontava sempre tutto. Guardò Silke e quella gli stava sorridendo imbarazzata. “Non volevamo andare in città?”, così Silke cercò di sviare il tema cercando con lo sguardo di nuovo Wolfgang. “Sì, ma ora non ne ho più voglia”, rispose lui brusco infilando le mani nelle tasche dei pantaloni. Negli sguardi di Wolfgang lei percepì qualcosa di minaccioso. Da lui aveva già più volte ricevuto denaro in prestito e ogni volta l’aveva restituito. Per questo motivo non capiva perché ora le facesse d’improvviso tutta quella pressione. Il treno si fermò producendo un rumoroso cigolio. “Saliamo o no?”, voleva sapere Albert. Wolfgang ci pensò un attimo, poi salì sul treno. Albert lo seguì, mentre Silke esitò; solo quando Albert si voltò verso di lei salì anche lei sul treno.
Attraversarono due vagoni vuoti e infine si sedettero nelle file posteriori dell’ultimo. “Abbiamo un treno intero tutto per noi”, sottolineò Albert. Wolfgang non reagì, piuttosto fissava lo sguardo su Silke, che ora sedeva di fronte a lui. Non staccava lo sguardo da lei, una volta i suoi occhi si posavano sulle sue cosce, poi tornava a guardarla dritta in volto. “O paghi ora, oppure te li guadagnerai”, questo gli sentì dire, con voce bassa ma decisa. “Cosa?” “Tu mi hai capito”. Albert lo guardò stupito. Non aveva ancora mai sentito Wolfgang parlare in quel modo. “Che cosa intendi dire?”, voleva sapere Silke mentre sorrideva imbarazzata. Wolfgang non tradì alcuna espressione, piuttosto rimase fermo nel suo sguardo. “Tu ti guadagnerai i venti euro”. La calma che c’era nella sua voce la confondeva, Silke si guardò intorno cercando insicura il controllore. Ma si trattava di uno di quei treni completamente automatizzati, uno di quelli che non aveva controllori. “Allora, in che modo?”, voleva sapere Silke. Albert ora percepiva la paura di Silke. Volentieri l’avrebbe difesa, ma la determinazione di Wolfgang gli faceva intendere che sarebbe stato inutile. “Nel modo in cui pagano di regola le donne”. Con un balzo Wolfgang si era alzato e si era seduto accanto a Silke. “Pagherai come pagano le donne”, ripeté ancora. “Stai scherzando”, provò a sviare Silke, che ora voleva cambiare posto. Ma Wolfgang premette con decisione la propria mano sulla sua coscia. Lei conosceva Wolfgang dal tempo della scuola, che frequentarono insieme, sapeva dunque che era irascibile, che volentieri si batteva con altri ragazzi, ma mai le sarebbe passato per la testa che avrebbe potuto avvicinarsi a lei in quel modo. Era seduta stretta tra Wolfgang ed Albert. Albert era ammutolito, come se la cosa non lo riguardasse in alcun modo. “Perché non dice nulla?”, pensò Silke guardandolo. Stava guardando fisso fuori dal finestrino. Wolfgang si voltò verso di lei e cercò di baciarla. Le sue labbra erano molto vicine e lei sentì il suo respiro, che ora era diventato molto veloce. “Tu sei pazzo”, gli sibilò. E tuttavia sentì la sue mani in una presa sempre più energica sulla sua coscia e lentamente lui infilò la sua mano destra tra le sue gambe. Lei cercò con tutta la forza che aveva di spingerlo via e un paio di lacrime le scesero lungo le guance. D’improvviso le scintillò la lama di un coltello davanti agli occhi. “Sei diventato matto?”, sentì dire da parte di Albert. “Non t’impicciare!”, replicò duro Wolfgang. “Ti potrai divertire un po’ anche tu. Deve guadagnarsi venti euro”. Mentre si rivolgeva ad Albert continuava a tenere con la mano destra il coltello davanti al viso di Silke. Questa guardava Albert impaurita. Ma quello semplicemente si allontanò. “Vieni con me!”, esortò Wolfgang. “Dove?”, “Vieni e basta non accadrà nulla”. La sollevò prendendole la mano e la spinse davanti a sé. Aprì la porta della toilette e la costrinse a sedersi sul WC. Lei lo guardò con occhi spalancati. Ora le sembrava alto almeno due metri, all’improvviso lui aprì la cerniera dei pantaloni e ne tirò fuori il suo pene rigido. Con quel coso sporgente aveva un aspetto ridicolo. “Che cosa guardi?”, volle sapere lui. “Il tuo cazzo è davvero grosso”. Wolfgang se lo guardò, poi tornò con gli occhi su Silke che sedeva ancora sulla tavoletta del cesso. Per un attimo i loro sguardi s’incrociarono.
“Bene, allora lasciami in pace, e metti via il coltello”, gli disse lei dopo poco. Quando sentì le sue labbra rinfilò il suo coltello nella tasca dei pantaloni e guardò il soffitto, dove vacillava la luce.
Poco dopo sedevano entrambi di nuovo nello scompartimento. Albert inizialmente, quando Silke e Wolfgang tornarono, non reagì, limitandosi a guardarli con aria annoiata. Wolfgang ora aveva di nuovo l’aria rilassata, come al solito, ed anche la relazione tra Wolfgang e Silke sembrava non essere più tesa, o almeno così sembrò ad Albert quando si sedettero di nuovo. Nessuno di loro parlava. All’improvviso però Silke baciò Wolfgang cercando di stringere il suo corpo al proprio. Wolfgang sentì che Silke stava tremando tutta. “Ehi, che vuoi, chi ha detto che puoi saltarmi addosso?”, disse allontandola da sé. Lei cadde all’indietro nel proprio sedile ed iniziò a piangere. Albert la guardò compassionevole. Mentre guardava Silke in quel modo lo prese una grande rabbia nei confronti di Wolfgang e volentieri gli avrebbe sferrato un pugno in faccia. Ma continuò ad osservare Wolfgang senza alcuna visibile eccitazione, per poi tornare con gli occhi su Silke. Era impossibile calmarla e scoppiava continuamente in convulsioni. “Non puoi cercare di calmarti?”, l’apostrofò Wolfgang. Silke si tirò via le lacrime dal viso. Il tono col quale Wolfgang le parlava le faceva più male di quello che era accaduto nella toilette.
Wolfgang guardò assorto per un certo tempo fuori dalla finestra e poi indirizzò il proprio sguardo su Silke. “Puoi essere ancora una volta felice. Sai bene che qui non c’è nessuno”. Silke lo fissò. Il suo naso era leggermente arcuato e questo per la prima volta la colpì. Con la stazione successiva sarebbero arrivati a destinazione. Silke voleva alzarsi ma Wolfgang la respinse nel suo sedile. “Proseguiamo”, ordinò lui. Albert lo scrutò interrogativo. “Cosa?” “Proseguiamo, arriviamo a Salisburgo”. “Che cosa faremo a Salisburgo?”, voleva sapere Albert. “E’ da tempo che non ci vado e Salisburgo è una bella città”, replicò Wolfgang. “Io scendo”, disse Silke determinata e si alzò nuovamente. “Tu vieni con noi. Sei ancora in debito di 16 euro. Quattro te li sei guadagnati”, le spiego Wolfgang secco. Silke si liberò, ma Wolfgang le afferrò la mano e la trascinò indietro. La baciò e la spinse tra il suo corpo e quello fragile di Albert. “Forse dovresti baciarla anche tu una volta. Prova!”, così sollecitò il suo amico. Ma quello non fece altro che guardarlo. Il treno ripartì. All’esterno si vedevano passare gli edifici come oscuri e grandi fantasmi. “Allora Albert, baciala”, rise lui. “Avrebbe il valore di…, diciamo cinquanta centesimi”.
Alberto continuò a guardare fuori dal finestrino, come se non avesse neppure sentito la sollecitazione di Wolfgang. “Non hai capito, devi baciarlo”, ordinò con un tono di voce completamente diverso. Silke si voltò verso Albert e lo baciò su una guancia. “No, devi baciarlo per bene. Con la lingua, e così via”. Albert guardò Silke. Lui non era ancora mai stato baciato da una donna. Sentiva la saliva sulla sua guancia. Poi sentì le sue labbra sulle sue e la lingua di lei che cercava di penetrare nella sua bocca, mentre sullo sfondo vedeva il largo sorriso di Wolfgang. Poi sentì le sue mani che gli si appoggiavano sulle spalle e in qualche modo ebbe la sensazione che lei gli stesse chiedendo aiuto. Ma Wolfgang la strattonò all’indietro. “Basta così. Lo fai piuttosto volentieri, troia”. Silke lo guardò piena d’odio e gli sputò in faccia. La saliva gli scese dalla fronte, lentamente, fino a raggiungere le guance. Con un movimento del braccio si pulì strofinandosi senza fiatare sul suo giubbotto. Lei s’aspettava una reazione, ma non successe nulla, lui se ne stava semplicemente seduto lì a guardarla. In qualche modo le ricordava suo padre che pure qualche volta la picchiava, più spesso tempo addietro, quand’era più piccola, mentre ora solo di rado.
Tacquero. Il treno si fermò. Ma non salì nessuno. Albert sentiva ancora il sapore delle labbra di Silke sulla sua bocca, lei che ora se ne stava in silenzio e chiusa in se stessa tra loro due. Wolfgang fissò con sguardo deciso di fronte a sé. D’improvviso Silke saltò su e cercò di scappare. Rapido con un fulmine Wolfgang afferrò le sue braccia e la riportò indietro. “Non abbiamo ancora finito”, minacciò lui. Il suo respiro era accelerato. La spinse sul suo sedile e le passò una mano sulle sue guance. Poi con un movimento rapido sollevò il suo pullover ed accarezzò il suo stomaco. Silke si sollevò nuovamente e questa volta riuscì a liberarsi dalla sua presa. Corse in direzione della porta del vagone, ma prima che potesse aprire la porta Wolfgang l’aveva già riacciuffata. Iniziò a batterlo con le mani. Wolfgang però la cingeva allo stomaco con le sue forti braccia e riuscì a trascinarla indietro. “Non puoi fare un po’ d’attenzione?”, così sgridò Albert. “Va bene, non dire altro”, disse Albert premendo anche la sua mano su una coscia di Silke. Era come se percepisse la sua pelle sotto la stoffa. Wolfgang ritirò fuori il coltello dalla tua tasca e lo sollevò di fronte al naso di Silke. “Se lo fai un’altra volta ti sfregio la faccia”. Silke sentiva i battiti del suo cuore, veloci e violenti. “Che cosa vuoi, dobbiamo tornare al cesso?”, gli soffiò lei in faccia. “Hai sentito? Forse questa volta vai tu con lei”, disse ridendo Wolfgang senza più guardare Silke. Albert osservò il coltello che Wolfgang continuava a tenere in mano e che continuava a brandire davanti al viso di Silke. Gli aveva fatto davvero piacere andarsene con Silke alla toilette. Se lei aveva potuto farlo con Wolfgang allora sarebbe potuto accadere anche con lui. Forse le piace davvero. Wolfgang prese a morsicchiare i lobi delle orecchie di Silke. Lei si tirò indietro con uno strattone. “Non ti piace”. Lei sentì di nuovo il battito del suo cuore e d’improvviso iniziò ad urlare in forma isterica, mentre i suoi pugni si abbattevano su Wolfgang. Questi la afferrò allora per i lunghi capelli, la trascinò a terra e premette il suo piede sulla sua testa, così che non potesse più muoversi. “Sei diventato matto, o cosa?”, disse Albert inveendo mentre il suo sguardo era fisso su Silke, il cui viso comicamente deformato si trovava sotto la scarpa di Wolfgang. “Lasciala!”, “Guarda che cosa ha fatto”. Albert guardò Wolfgang mentre si toccava con la mano il naso sanguinante. Wolfgang tirò forte Silke per i capelli fino a farla alzare. “Bene, così siamo tornati a cinquanta euro”, disse lui, quando lei era tornata a sedergli accanto. “Lo capisci questo?” Silke annuì. “Bene, allora”. Se ne stettero in silenzio seduti ai loro posti. Wolfgang si ripulì del sangue con un fazzoletto sul quale prima aveva energicamente sputato. Silke osservò quei suoi gesti. Albert stava guardando fuori dal finestrino, dove vedeva passare isolati lampioni, quando il treno entrò nella stazione della città successiva. All’improvviso Wolfgang afferrò rozzamente Silke per un braccio e la sollevò. “Scendiamo”, ordinò lui e la spinse davanti a sé. Albert guardò Wolfgang sorpreso e infine lo seguì anche lui. Era ormai sera tarda e la mezza luna piena troneggiava sull’edificio della stazione. Non c’era anima viva in nessuna direzione. Il treno si allontanò senza di loro. “E adesso?”, chiesa Albert. “Non ne ho idea, vedremo. E guai a te se ti fai venire stupide idee”, disse Wolfgang rivolgendosi a Silke, che se ne stava intimidita accanto a lui.
Entrarono nella stazione. La biglietteria e il tabacchi erano chiusi. Davanti alla stazione guizzavano solitarie le persone. Wolfgang si guardò intorno. Spinse Silke davanti a sé in direzione della toilette. Albert li seguì con passi lenti. Davanti al WC si sedettero su di una vecchia panca in legno decorata con scarabocchi. “E cosa dovremmo fare qui?, chiese Albert, che ora sentiva freddo. “Ora Silke onorerà i suoi debiti”, ribatté Wolfgang con tono annoiato. “Che cosa intendi dire?” “Che Silke lavorerà”. Wolfgang premette il proprio corpo su quello di Silke e la cinse con il braccio. “Silke farà ciò che fa particolarmente volentieri”. Nello stesso istante un uomo con lo stomaco pieno di birra barcollò verso di lei. Senza neppure guardarla aprì la porta della toliette. Wolfgang fece un segno con la testa ad Albert e gli sussurrò qualcosa nell’orecchio. Albert lo guardò sorpreso, poi lanciò uno sguardo veloce su Silke che se ne stava seduta tranquilla lì accanto, si alzò e seguì l’uomo. Alcuni minuti dopo tornò annuendo verso Wolfgang. Questi fece alzare Silke e la spinse nella toilette degli uomini. Albert tornò a sedersi sulla panca guardandosi attorno nervosamente.
Silke fissava la piastrelle bianche. Sentì lo sciacquone del pissoir e quando alzò lo sguardo l’uomo era di fronte a lei. Doveva essere già sopra i cinquanta e la stava guardando con tono serio. “Ora fagli un bocchino. Poi potrai andartene. Poi saremo pari”, sussurrò Wolfgang a Silke tenendola stretta. “Questa sarebbe lei dunque”, pensò l’uomo dopo averla squadrata. Wolfgang indicò con un movimento della testa la porta della toilette che lo straniero aprì, poi vi spinse dentro Silke. “Dieci minuti, chiaro?” gridò dietro ai due Wolfgang. La porta venne bloccata dall’interno. Silke percepì l’alito che puzzava di birra. Dietro di lei c’era la tazza del cesso e c’era spazio appena a sufficienza perché i due potessero stare in piedi. L’uomo tentò subito di baciarla. Appoggiò le proprie mani sui suoi seni. La sua saliva gocciava sul suo collo. Poi si slacciò i pantaloni e li lasciò scivolare giù. Fissò lo sguardo sul suo organo sessuale che pendeva floscio sotto la sua pancia e che afferrò con la mano destra. Cercò nuovamente di baciarla. Le spinse la testa verso il suo pene. Lei provò disgusto e quando lui notò che lei gli faceva opposizione fece pressione con il suo corpo contro di lei. La sua mano sfregava veemente sul suo organo. Lei sentì il suo respiro diventare sempre più affannato. Quando lui venne lei si strinse in sé, mentre l’eiaculazione finì sui suoi pantaloni. Dopo essersi fermato per un attimo lui si ritirò su i pantaloni e senza gettare più lo sguardo su di lei aprì la porta ed uscì. Silke bloccò di nuovo la porta dall’interno e si sedette sulla tazza del cesso. Sentì la voce aggressiva di Wolfgang dire all’uomo che cinque euro erano troppo pochi perché lui aveva sforato col tempo e dunque doveva pagarne dieci. Poco dopo bussò alla porta. “Puoi uscire”, la sollecitò Wolfgang. Lei non si mosse. “Mi senti? Devi uscire”. Pochi istanti dopo vide le mani di Wolfgang che scendevano dall’alto, dalla toilette accanto, che si stendevano verso di lei e poco dopo le raggiungevano il viso. “Sei sorda o cosa, devo venire lì? Silke si alzò trepidante e aprì la toilette. “Allora, ti sei divertita?”, disse lui ridendo. “Qui c’è una gomma da masticare, per la disinfestazione”. Uscirono. Fuori c’era Albert che aspettava. “Qualche problema?”, volle sapere Wolfgang da lui. Albert scosse la testa e si alzò dalla panca senza guardare Silke. Lei guardava Albert imbronciata. “Dall’altra parte, non lontano da qui, ci sono un paio di giochi automatici. Facciamoci un giro. Che ne dite?”, propose Wolfgang con un tono quasi allegro. Albert non replicò alcunché, semplicemente seguì Wolfgang. “D’accordo, andiamo”, disse Silke all’improvviso, fatto che frastornò del tutto Albert. Nella sala giochi Wolfgang e Silke si posizionarono presso un flipper, mentre Albert, smarrito, ordinò una birra appoggiandosi in piedi al bancone. Mentre beveva la sua birra osservava come fosse concentrata Silke sui quei giochi, come se prima non fosse accaduto nulla. Poi fu la volta di Wolfgang. Furente colpì il flipper quando se ne andò in buca l’ultima biglia. Dopo un’ora uscirono dalla sala e tornarono alla stazione. Silke disse che lei all’occasione successiva avrebbe battuto Wolfgang. “Non hai alcuna chance”, così Albert sentì dire a Wolfgang mentre li seguiva. Poco prima di entrare nella stazione Silke si bloccò e l’espressione del suo viso cambiò. “Preferisco fermarmi ancora”. “Ma che dici, l’ultimo treno parte tra dieci minuti”, le disse Wolfgang. Alla fine li seguì. Sospettosa si guardò intorno, come se fiutasse un pericolo nelle vicinanze. “Abbiamo passato davvero una bella serata”, sottolineò Wolfgang quando già erano seduti in treno. Silke stava guardando fuori dal finestrino e non disse nulle. Le porte si chiusero automaticamente e il treno lentamente ripartì. Durante il viaggio rimasero seduti in silenzio, ciascuno chiuso in se stesso nel proprio sedile. Quando infine il treno entrò nella loro stazione e loro poterono riconoscere gli edifici, si alzarono tutti e tre. Per Silke era chiaro che ora sarebbe potuta tornare a casa e per questo rimase tanto più sorpresa quando sentì la mano forte di Wolfgang attorno al suo polso. “Mi devi ancora dieci euro”, disse lui. “Siamo pari”, ribatté Silke irritata. “No, non è vero”. Albert stava guardando il treno ripartire e a causa del rumore non riuscì a capire il motivo per cui stavano litigando. Quando il treno scomparve si fece d’improvviso un silenzio totale. Le stelle brillavano sopra di loro. “Mia madre questa settimana è fuori per una gita con la ditta, la casa è vuota. Potreste venire”, annunciò Wolfgang. “Ma io non voglio”, replicò Silke. “Che stupidaggine, tu verrai”. Wolfgang le afferrò i lunghi capelli e la spinse davanti a sé. Albert non fece altro che seguirli, forse anche perché Silke non voleva essere lasciata sola con Wolfgang. Dopo poco erano nella casa della madre di Wolfgang, che si trovava poco lontana da un fiume. Wolfgang posò subito sul tavolino del soggiorno una bottiglia di whisky, prese tre bicchieri e versò. “Questo rallegra l’atmosfera”, disse rivolto a Silke. Poi prese un bicchiere e brindò ai due. “Metti su un po’ di musica”, disse ad Albert sollecitandolo, visto che era proprio vicino all’impianto. Poi si sedette accanto a Silke e la baciò. Le accarezzò i seni e le chiese se questo le sarebbe piaciuto. Lei guardò apatica verso Albert che stava trafficando con i CD. Nonostante tutto si sentiva trascinata da Wolfgang e voleva che tutto tornasse ad essere com’era stato prima di quella sera. Con un solo sorso svuotò il bicchiere e lo sbatté sul tavolo. Se ne fece un altro. Osservava silenziosa Albert. “Che ne dici, perché non inchiodiamo Albert? Forse gli piacerà”, sussurrò Wolfgang all’orecchio di Silke. Wolfgang guardò Albert che ignaro stava maneggiano i CD, poi tornò con lo sguardo su Silke facendole un segno. Da dietro sgattaiolarono verso Albert. D’improvviso lui sentì le mani di Wolfgang sulle sue spalle e quelle di Silke sulle sue gambe. “Che volete fare?”, gridò Albert lasciando cadere i CD che aveva cercato e che infine aveva trovato. Poco dopo si ritrovò legato mani e piedi, sul pavimento e Silke era sopra di lui a gambe divaricate, mentre Wolfgang s’era seduto di nuovo sul divano e li stava osservando. Albert guardò il bicchiere che Silke aveva in mano. “Ne vuoi un sorso?”, gli chiese lei. Ma ancor prima che lui potesse risponderle lei s’era chinata per fargli bere il whisky. Silke non era più in grado di starsene diritta, ma le piaceva che Albert fosse sotto di lui. Gli sbottonò i pantaloni e sbucò fuori il suo membro rigido. “Ma guarda, te lo fai”, disse Wolfgang ridendo. Silke si lasciò cadere all’indietro sul pavimento accanto ad Albert e da quella prospettiva osservò il suo membro, finché all’improvviso non s’afflosciò. Delusa, come se fosse giunto a conclusione uno spettacolo di natura, voltò di lato la propria testa. Poi si risollevò, barcollò verso Wolfgang e si fece un altro whisky. “Slegatemi”, balbettò Albert. Con un paio di contorsioni tentò di ritirarsi su i calzoni, ma la cosa non gli riuscì. “Basta così”, disse Wolfgang, si alzò e prese a scioglierlo lentamente. “E’ stato davvero molto divertente”, si lamentò Albert. Mentre si riallacciava i pantaloni guardò Silke che ubriaca se ne stava accovacciata in un angolo.
Quando Silke il giorno dopo si svegliò la testa le ronzava. Solo pian piano iniziò a ricordare. Quando provò a muovere le mani notò che erano legate e che la fune era attorcigliata attorno ad un enorme vecchia cassa. Sul divano c’era Albert che dormiva. Fuori, in veranda, si vedeva un piccolo gatto nero disteso al sole. Provò a liberarsi ma capì subito che era inutile. Poco dopo Wolfgang era lì in piedi che, appena alzatosi, si stirava osservando Silke. “Puoi liberami?”, gli chiese con voce fioca. Ma lui la ignorò e piuttosto se ne andò in veranda, dove si pose il gattino sul ventre e prese ad accarezzarlo amorevolmente. Ora anche Albert si stava riprendendo. Si guardarono in silenzio. Albert rigirò il proprio sguardo e s’infilò le proprie scarpe, che si trovavano davanti al divano. Si alzò, aprì la porta a vetri e andò da Wolfgang. Silke osservò attraverso la finestra il modo in cui si stavano intrattenendo. In realtà solo Albert parlava, mentre Wolfgang se ne stava seduto lì vicino in silenzio. Poco più tardi Wolfgang lasciò la veranda ed Albert tornò ad essere solo. Poi Wolfgang era di nuovo in piedi davanti a lei, giocherellava con la chiave dell’auto in mano e pensava che ora avrebbero fatto un giretto. La liberò dalla fune che la legava alla cassa, lasciando tuttavia legate le sue mani. Silke non replicò e piuttosto quando lui la condusse in garage, dove c’era la Ford, si guardò intorno impaurita. Lui aprì le portiere posteriori dell’auto, mentre già Albert sedeva nel sedile anteriore del passeggero, e la spinse dentro.
Silke trottava lentamente dietro l’auto. “Guarda, le riesce bene. Dunque possiamo dare subito ancora un po’ di gas”. Wolfgang premette l’acceleratore. Silke ora iniziò a correre. Albert la osservava dal lunotto. “Attento, non resisterà ancora per molto”, gridò. Wolfgang ridusse la velocità e guardò nello specchietto retrovisore. Poi svoltò. L’auto attraversò un tratto d’acquitrino, i pneumatici girarono per un po’ a vuoto, finché non ritrovarono il terreno solido. Presero la via del ritorno con un’andatura lenta, mentre Silke correva dietro di loro. “Dobbiamo fare benzina”, rimarcò Wolfgang. “Hai la patente?”, voleva sapere Albert. “Il tratto è breve, non accadrà nulla”, ribatté Wolfgang. Fermò l’auto, slegò la fune dal paraurti e si diresse verso Silke, che era del tutto senza fiato. Lei arretrò di un paio di passi, per cui Wolfgang la trascinò a sé con la fune, finché lei non gli fu molto vicina. “Il programma fitness è finito. Puoi entrare nell’auto”. Dopo che Silke non accennò ad alcuna risposta e non fece neppure cenno di voler salire in auto, lui la trascinò con la corda verso la Ford e la costrinse a salire. Poco dopo sostarono lungo una strada sterrata. Silke era stata sbattuta avanti e indietro. In breve si ritrovarono su di un’erba umida ma con un movimento riflesso Wolfgang poté tornare ad avere sotto controllo l’auto. Albert guardò terrorizzato Wolfgang. “Che c’è, hai la cacarella?”, e lo sentì ridere. Poi Wolfgang cambiò marcia ed aumentò l’andatura. Dietro c’era un’enorme nube di polvere. Wolfgang rise come un matto ed alzò il volume della radio. I campi di mais scorrevano rapidi. Poco dopo raggiunsero la statale. Albert osservò dallo specchietto retrovisore che Silke se ne stava seduta in silenzio e guardava dal finestrino. Davanti a loro c’era un trattore con un rimorchio carico di fieno. Wolfgang bestemmiò e frenò, poiché non poteva superare. Alla prima occasione uscì dalla corsia, scalò dalla terza alla seconda e diede energicamente gas. Quando vide la pattuglia della polizia che si trovava al margine della strada era ormai troppo tardi. Già l’attimo successivo s’accorse del segnale di stop che gli stava mostrando il poliziotto. Abbassò la musica, si girò verso Silke e con una mano le sciolse i nodi. “Stai attenta a quello che dici”. Si fermò circa cinquanta metri dopo l’auto della polizia. Si avvicinò una poliziotta, seguita da un collega più anziano e forzuto. Wolfgang rimase a sedere e in silenzio, ancora una volta si girò verso Silke e la squadrò con uno sguardo severo. Poi abbassò il finestrino. “Buongiorno, i suoi documenti prego, carta di circolazione e patente”, sentì dire dalla poliziotta. Wolfgang rovistò nella cassetta dei guanti, dov’era anche l’occorrente per le fasciature e infine le diede la carta di circolazione. Quella la passò al collega che presa ad osservarla con attenzione. La poliziotta gettò uno sguardo su Albert e Silke. Quest’ultima la guardò muta. “E la patente?”, rivolgendosi di nuovo a Wolfgang. “E’ a casa, volevo arrivare solo al distributore”. “Questo non va bene però”. “Se vuole posso portargliela più tardi. E’ davvero a casa”. Lei lo squadrò diffidente. “Dove abita?” “Nel paese là dietro”, disse Wolfgang indicando con un movimento del braccio. In quel momento il poliziotto gli riconsegnò la carta di circolazione e si diresse verso la propria auto. Wolfgang la porse ad Albert, che la rimise nella cassetta dei guanti. D’improvviso Silke si portò in avanti con la testa, come se volesse vomitare. “Sto male”, cincischiò. La poliziotto la osservò sorpresa. “Forse ha bisogno d’un po’ d’aria fresca”. “No, è già passato”, disse Wolfgang. Ma Silke si piegò di nuovo in avanti e questa volta fu come se davvero da un momento all’altro dovesse rigettare. “Ho bisogno d’aria fresca”, balbettò di nuovo. Wolfgang rimase seduto e in silenzio, tuttavia, come se percepisse lo sguardo della poliziotta, scese ed aprì la portiera posteriore. La donna non lo perse di vista. Silke uscì dall’auto, fece un paio di passi barcollando e s’aggrappò tremante alla poliziotta, che rimase sorpresa, mentre quella iniziò a vomitare. Wolfgang la fissò inorridito e salì in auto. “Allora vado a prendere la patente”, sussurrò a bassa voce. Mise in moto e partì da lì senza più guardarsi intorno. Albert lo guardava esterrefatto. “Che cos’hai da guardare in quel modo, è tutto a posto”. Wolfgang rialzò il volume della radio e diede gas, mentre il campanile della chiesa del paese vicino stava scomparendo dietro di loro.