Verena Rossbacher

Nata nel 1979 a Bludenz, vive a Berlino. È cresciuta fra Austria e Svizzera; ha studiato per un semestre filosofia, germanistica e teologia a Zurigo; studi presso l’Istituto di Letteratura Tedesca di Lipsia; autrice libera professionista.

 

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Videoritratto

 

 

TDDl 2010TDDl 2010

 

Verena Rossbacher

macellare.

Un alfabeto di indizi.

(estratto da un romanzo)

 

Traduzione: Vito Punzi

 

Che lì qualcosa pensò. Il paesaggio un succo multivitaminico, ma questo era solo a causa dell’autunno. Il papavero è rosso, giallo per la paglia, le zolle marroni, confuso e: arancione, a causa dell’arancione, a causa della zucca, si mordevano tenacemente nel paesaggio, lì, la questione con le zucche più che in una forma volgare, ma questo era solo a causa dell’autunno, ma semplicemente lui faceva finta di non vederle, ma questo era solo perché i treini sono animali selvatici, ma lì le zucche, volevano entrare negli occhi e salire fino alla testa, ma ma semplicemente lui non guardava bene. Ma: quella era una questione di velocità o qualcosa andava storto con il tempo, era il paesaggio o semplicemente un errore, era il paesaggio, che pensava questo, era questo a causa dello sfilare, a causa di: zucche, a causa di: tecnica di spolvero, papavero, giallo e marrone zolla, infine a causa dell’arancione, perché la sera si miscelava nuovamente ed il paesaggio divenne succo, che sopraggiunse il pensiero che qualcosa pensò. L’arancione lo accecò una rapida cataratta, subitamente: lo spalancarsi degli abissi, allora guardò in un pendio da una torbidezza arancione e cataratte travalicano il tempo e spalancano qualcosa e lì pensò qualcosa la fontana in un maggio, lì s’incontrarono, quando allora s’incontrarono lì vicino alla fontana e come inevitabilmente, quando lì chi prende il sole e lo getta lì dentro e lì sopra e tutto diventa succo – ma no, cosa rovista qui, guardare fuori aiuta, contro il ricordare, contro i quadri aiuta sempre il guardare, così semi di zucca come rovesciato e gravido mormorio, questo gli crea una nota in testa, quando qualcosa viene rovesciato, nella natura, non nella natura, in un’immagine, quando qualcosa viene rovesciato, quando qualcosa non è per bene, quando nella natura o non nella natura, quando qualcosa è come malamente assortito e graffiato con intenzione, che cosa questo significhi non lo so, ma lì allora lui deve inciampare e riordinerebbe volentieri qualcosa, in un’immagine, quando per esempio in un quadro, come per esempio in questo quadro, una volta nella mostra, in una mostra, quando era andato alla mostra, in una mostra e gli angeli in cielo, molto in basso aspettavano le cose, una Maria, un Giuseppe, bue e toro, lì aspettavano i pastori e Giuseppe non era un padre e si chiede perché e in cielo, lì Uno ha, lì il Grande ha rovesciato una manata d’angeli sul quadro gettato come uva passa svuotati, angeli in caduta libera, a capofitto, saltare dal trampolino, un volo libero con salto dal trampolino, angeli come cianfrusaglie insensatezze, sciocchezze, qui gli angeli dovrebbero librarsi senza peso, qui dovrebbero davvero, perché questo è d’uso, gli angeli eterei planano e luccicano, qui gli angeli dovrebbero davvero in generale recitare in forma galante, gli angeli tubano suonano il gong o imperversano oppure era la F, usano argomenti fittizi, insomma, cosa mettono in testa gli angeli rovesciati? O tutto questo è una finta? Volete rendere fiammeggiante il cielo? Un incendio dei mondi? È una manovra mistificatoria e per questo. Allenati nel flic flac sulla terra. Flic flac per il volteggio, Fifflis la capriola un flip la torsione, la F, attraverso la F si arriva a scoprire i loro trucchi, ginnasti ed acrobati truccati! Angeli, questo sì, ma questa era la squadra del caos, lì gli angeli erano caduti gettati svuotati in un quadro, lì il Grande aveva rovesciato gli angeli, uno stordito branco di scrofe, remano con le braccia, portano le loro vesti ridenti ma non le loro trombe e i loro tromboni, ma non perdono i piatti, poi qui si deve parlare con voce flautata strombazzata, poi qui si deve strimpellare il violino e strombazzare e si deve sempre ridere! Fare ginnastica e mettere in musica! Gli angeli sono giullari sono All-arounds ed intrattenitori unici, il Grande ha gettato fuori l’uva passa oppure gli è caduta dal cappotto, l’ha ricevuta oggi di fretta, frettoloso se ne va a grandi passi per la campagna, oggi corre come un energumeno, lo spinge oggi l’inquietudine o una nuova idea, qualcosa lo sollecita, il grande progetto o una cattiva coscienza, se ne va dentro un bianco cappotto della chimica, sempre i bianchi cappotti della chimica, quando uomini bianchi –

No, no, lui deve sfilarsi qualcosa dalla testa, si passa la mano sul viso, sugli occhi, fa un gesto di rassicurazione e nel modo seguente: qui si vantano della chimica a causa degli uomini e della fretta – lui inscatola: nel modo seguente, si passa le mani sul viso sugli occhi sulla testa, quando: il Grande seziona il cielo, qui cadono dal cappotto bianco gli angeli come uva passa sulla campagna e: qui siede la Maria ed attende, le cose ed un bambino ed altre spiegazioni, che un padre si faccia vivo e una camera per la notte, angeli caduti del tutto casualmente nel quadro e per l’intrattenimento musicale, qui il Grande ha avuto pietà o fa dello spirito, con musica sempre tutto più leggero, qui danza il mondo, uno stomaco pesante, l’angelo ti fa il flic flac, verticale e volteggio, qui fa un’assurdità inglese, fino allo sconsiderato guazzabuglio, assurdità, assurdità? Visitate lamiatenda. Se è vero. Quando è vero. Poi arriva Gabriele con un annuncio immorale, poi lui viene mandato dal Grande, vai, dice il Grande e in quel momento è molto impegnato, ha da fare, nel laboratorio chimico o nell’aiuola fiorita, medita sulla scissione nucleare o sulla calzamaglia sintetica, potrebbe essere una buona cosa, rastrella le aiuole nel giardino, perché la primavera sta arrivando e a marzo il contadino, va, dice per questo motivo il Grande, no, non sfondare subito la porta di casa, delicatamente, capisci, avvicinati a lei delicatamente, prima dalle un piccolo dono, una, sì qualcosa, lui è nel laboratorio, c’è una bella reazione nel vetro, una bottiglia di cloroformio, una molecola come simbolo, il minuscolo nel grande, il frutto nel corpo, una molecola, sarebbe bello e il cloroformio forse è anche pratico, perché la notizia è brutta, forse da digerire solo sotto anestesia e da porsi con leggerezza, porta con te qualcosa, dice lui a Gabriele, portale dei fiori, si fa così, e poi dille che io non ho tempo, a causa del laboratorio, a causa del giardino, dille, nel laboratorio c’è il lavoro per i prossimi secoli, in giardino c’è la neve di ieri, dille – ma no, lascia perdere, che può interessare a Maria della chimica, dei miei ortaggi? portale semplicemente qualcosa, salutala da parte mia e fatti venire in mente qualcosa.

Va bene, disse Gabriele, coglie dei fiori graziosi e pensa ad una bella poesia. Fa ciò che gli ha detto il Grande , gira il suo aggeggio e se ne va, Gabriele, e scompare nella F, flic flac in direzione della terra e della follia, perché lui è ancora giovane, perché lui è un bambinone e uno scapestrato, perché lui sente la primavera, perché lui è marzo, perché lui fa follie, perché lui non può fare diversamente, perché lui non vuole, Maria, Mariamaria, visita la mia tenda, ti saluto, tu sei Maria, il Signore è con te, vieni a letto con me, io sono con te tu sia con me, visita la mia tenda, giaci accanto a me, visita la mia tenda, G come Gabriele, b come benedetta maledetta, ave o Maria e a come ave e b come benedetta e f come il frutto, tromboni per la musica e fiori per il romanticismo, un giglio per l’amore, vieni a me dolcezza, vieni vicino a me, ho qualcosa da dirti da parte del Grande, ti racconto una storia, ti racconto una storia davvero incredibile, vieni dolcezza, facciamo un bambino, capisci, il Grande intende come lo fanno gli altri, gli costa poco, gli costa tanto, non lo so, ma perché non viene lui stesso? Perché, sai, è così, forse è impossibilitato, qualcosa lo trattiene, ha molto da fare, un appuntamento in laboratorio, sperimenta certe cose, gli piace vedere se riesce, inventa i fuochi d’artificio, la dinamite, la fissione nucleare, prima o poi, dice, e poi colloca tutto questo nel mondo, così qualcuno lo trova e se ne meraviglia, lo prova, può anche essere che mi abbia mandato perché lui non trovava una abito, un costume adeguato, in quale veste dovrebbe venire, non si presenta come cigno, non è un toro, non deve presentarti uno zoo, sarebbe ridicolo. Ti piacciano i suonatori di fiati, dolcezza? Perché ascolta, quando parla, è il rimbombare del trambusto, è il casino dei tromboni, ma piegati, te lo sussurro in un orecchio, ti racconto con dolcezza ciò che lui ha detto, tanto che la terra tremò, vieni, una tenda è un luogo interiore, un mantello incantato per scomparire, verremo dipinti, ma nessuno starà a guardare, saremo informati, ma nessuno ha visto, dirò che ti ho salutato, come ha detto il Grande, dirò che tu eri sorpresa? D’accordo? Inorridisci? Sei terrorizzata? Qualcosa con la a? Sei accalorata? È così? La E va bene per l’effetto e per l’eco desiderato, la e per l’epilogo, mai siamo in mezzo, perché tu sei matura, oppure il tempo, guarda, ti do un bambino, lui l’ha architettato così – o comunque in maniera simile – e ciò che lui pensa è cosa buona, lui pensa e dice e guarda e: è un bene.

Solo, lo concederà, che cosa ha a che fare questo terrore con l’annunciazione – devo descriverglielo così? Terrorizzata? Gliela racconto col senno di poi: l’ho salutata, le ho riferito tutto e lei era terrorizzata, turbata, devo dirglielo, un viso così assolutamente terrorizzato, un viso in tutto e per tutto terrorizzato e profondamente scosso, così scosso come quello non l’avevo ancora mai –

Come, prego, rimarcherà lui, come guarda la Maria, quando una cosa del genere viene annunciata, quando eccezionalmente uno dei miei angeli con informazioni importanti e con un messaggio gioioso, quando si riceve una visita così interessante, allora si deve fare una faccia simile e: prego, perché la Maria guarda come se le fosse stato rubato qualcosa, come se fosse stato detto: fine del mondo, perché lei fa quella faccia, come se avesse un diavolo alla parete, mentre io, eccezionalmente, le avevo inviato Gabriele, perché un viso così inafferrabile, come se qualcuno le avesse sparato nel cervello, proprio nel momento tutto diventa così interessante, ma no, ora quel lucido terrore e il viso della Maria come: ma questo ora non è vero: mi sono interrogato e: dimmi ancora una volta, piccolo.

Ma che allora qualcosa pensò, allora i pensieri se ne andarono a spasso e come se la sua testa fosse la piazza di una fiera, un panottico delle curiosità, un parco giochi con altalena, questo suonare il violino e dondolare, questo continuo correre qua e là, tutto ciò lo sfinì, questo tempo ritmato di bambini che continuamente corrono fanno l’altalena saltano, al punto che in testa lo dominava un’urgenza, questo è a causa a causa dello spargimento che gli si versa in testa, lì ci sono i semi di zucca rovesciati e incinta e s’aggrappa alle zolle o al cervello, la si dovrebbe disporre in fila da qualche parte, su di una libreria, che la tecnica di lavaggio non può essere salutare, è chiaro, a causa del cielo come il petrolio, a causa di un intorbidamento arancione, che gli venne strappato dalla testa, che allora qualcosa pensò vicino ad una fontana, era maggio e come se il sole si fosse bevuto qualcosa e tuttavia lui volesse solo pensare: semi di zucca, oppure: arancione, oppure: che ricordare è precipitare, eccetera –

No, è proprio sbagliato, questo no, questo – guardare fuori aiuta, guardare aiuta, treni che corrono nella campagna, questo irrompere di animali prorompenti, la velocità si moltiplica con il paesaggio, tutto questo richiede l’uso della tecnica di lavaggio, fuori c’era uno che spianava con grandi lamine l’autunno su di una parete oliata ed animali selvaggi schizzavano ogni dove, correvano con le loro zampe come su ruote, allora lui guardò da una minuscola cella da un corpo strappato, lo scomparto una cella d’api una squama nella corazza una pietra di mosaico, guardò lì l’autunno esemplare, loro avevano reso interessante il cielo con carta vetrata, avevano lasciato cadere trucioli dal sole, era una luce della stessa pasta, quella: arte naif, il sole come le dita di Cristoforo, di Giuseppe, di San Francesco –

No, pensa dunque. Quando uno dal legno tira fuori Cristoforo, Giuseppe e sempre con il bambino sulle spalle, quando: non raffinato, ma naif, uno tira fuori le dita dal legno, le orecchie, il viso, una luce tale: intagliato, tranciato, trucioli ricurvi, come: arte naif. Dev’essere uno che ha le sue idee sull’arte naif, quando sulle spalle di Cristoforo deve sedere un bambino Gesù e l’intero mondo, un bambino Gesù e non quello che si conosce, perché è questione di principio e di nulla di concreto, quando a Cristoforo un bambino sulle spalle – ma verso dove si dirige, è così perché con i naifs nell’arte volentieri una volta la testa di bambino scappa con uno e quello creata poi una stronzata, il naif nell’arte non è frutto del grossomodo, sono i contadini, che hanno la sensibilità di un ceppo di legno, che di fronte a una vibrante semplicità non sanno dove quella intenda andare e investigano gli alberi per sapere che farne, per tirarne fuori a buon diritto un Cristoforo, perché lui piace a loro, il cielo sa perché loro devono avere una simile predilezione per la lunga indigenza che pone sul guado, nessuna idea di nulla, nessun progetto, nessuna idea del mondo, probabilmente perché lui sa talmente poco, un cervello come un passero, stupido come il pane, perché lui è così naif vergognosamente volentieri lo tagliano rozzamente, perché  pensano: uno di noi. E poi Giuseppe: un uomo ingenuo. Come dev’essere ingenuo l’uomo che lascia che sia messo a dimora il proprio figlio nel ventre della propria moglie, creato dal nulla o da un chiacchiericcio inglese, generato in una sciocchezza e in un sottosopra, ma loro provano una gioia infantile quando poi di un albero asservito viene fatto un umile falegname che sorride, una piccola luce in una grande storia, l’uomo accanto, cui un saltimbanco ha applicato delle corna, ma –

Quando rimaneva un nesso, i pensieri si presentavano solo come frattali e la gente entrava e usciva da lui, allora lui portava dentro solo una struttura, allora sarebbe qualcosa: un cavolfiore, abilmente circondato e illeggiadrito con una geometria, un romanseco e rose su rose, il romanseco fa intendere la problematica dei frattali e la questione degli indizi, ciò che lui vuole dire, ciò che lui vuole è quanto segue, un “nelmodoseguente”: qualora vi portasse dentro una numerazione e un alfabeto, un’architettura, un progetto strepitoso: allora sarebbe qualcosa come un omicidio e la sua dinamica e indizio per indizio, Gabriele sarebbe una rosa d’ortaggi, una Rosellina, Cristoforo porterebbe il romanseco sulle spalle, l’intero mondo, ortaggi come una città, una fortificazione e all’interno una casa, tutto impostato, nel piccolo la chiave per il Grande, nell’indizio la dinamica e il suo omicidio o al contrario, il filo rosso e che si possa scoprire qualcosa, d’improvviso guardare un quadro e immergersi nella sua geometria, il cavolfiore è buono e fa bene così come non è salutare la tecnica di lavaggio, il cavolfiore è per la comprensione dei frattali e dell’architettura, dell’ingenuità e dell’arte e il romanseco è il suo più bel bambino.

Sui campi ora la brina, il freddo come afflizione, quando qualcosa diventa ricurvo e arido, quando – ciò che lui vuol dire, lui vuol dire qualcosa. Quando è maggio? No. Quando farà sera, no. Quando il sole si è bevuto tutto, no, se c’è una fontana, no, e lì infuria una guerra, questo no – quando questo viene: no, che ci si impratichisca, strati più profondi, che si deve pensare: no, ma questo è un ritmo, una cadenza, questo è il corso delle cose, quando il barcollamento diventa lamento, un tono alto, immagini serrate, quando: corpi trasbordano il latte si trasforma la calura cresce il tempo spirali, quando: il cielo capovolge il ritmo alla seconda un cavallo monta su di un altro, il cinema fatto con il pollice, una mano veloce. Fuori cade qualcosa, qui fuori cade qualcosa, il giorno incespica, qualcuno rovescia già la sera una notte aspra, il sole si trucca rendendosi croccante, questo presagio concreto di rosetta croccante come luce croccante tutto croccante ed una mattina afona, il sole d’un giallo colazione, più tardi il giorno – il pensiero, quando lui potesse pensare in maniera sufficientemente rigorosa, allora qualcosa sarebbe chiaro, era nel modo seguente, un “nelmodoseguente”: fuori c’era un autunno e il sole alla sera come colazione. Esatto. Come colazione come croccante, come una gola afona, una parola come: donna, una donna, quando lui pensò questo disse guarda, una donna, il tempo le affila il volto, già lui diventa ruvido, il cielo un vasetto di conserva con ribes rosso, umido, splende, cosa che fa il tempo, allora il tempo andò a passeggio o andò perduto oppure solo seduta stante, allora il tempo procedeva ed era maggio, il cielo, sta, si raccoglie, allora uno chiude il tappo a vite, un ricordo un quadro un giorno di maggio, messo in conserva dentro un vetro come oggetto curioso in una scansia, una passata rappresa da una fontana con sirene d’acquario e lì allora transitano da Nettuno i cavalli nella fontana lì s’incontravano lì procedevano i cavalli, lì tutto s’inalbera, quando: una pelle di sirena è così liscia e verde di alghe, di crepe, perché lì la lambisce e la insapona sempre un’acqua, quando qualcosa diventa viscido e melma, lì lui l’ha incontrata in maggio, viene da me, lui diventa già rigido, allora la pelle brama, allora questa ha una fame rabbiosa, un appetito umido, allora s’imbriglia e i cavalli hanno una bava calda, il pesante ed annientato verde e poi solo e poi solo il loro effluvio, allora lui non può più, allora lui ha divorato il dover inspirare come le cose, allora lui ha sentito il tempo, che scorre o che da solo il ritmo, ordina qualcosa, perché tutto questo era confuso, lì avrebbe desiderato lacerarla e divorarla sopra e nella fontana, lì avrebbe desiderato intingerla e farla girare vorticosamente, lì avrebbe desiderato che le acque si atteggiassero, che i mari si scatenassero e lì le sirene si agitassero, quei corpi compatti s’intrecciavano e giravano, guardavano, in faccia, che lei guardava lui in faccia, quando lui la prese, lui avrebbe desiderato, sempre la paura mortale, perché c’è sempre in ballo tutto, c’è sempre in ballo tutto, e c’è: tutto e sempre, si tratta rapidamente di tutto, ciò che deve essere accade velocemente.

Sarebbe dovuto accadere rapidamente e ancora più rapidamente, sarebbe dovuto accadere che si rompe un flutto, una colonna vertebrale, il cervello e una noce che si rompe, che lui piega la sua schiena, finché qualcosa scatta si disinnesta crocchia e intinge, prende, lui avrebbe dovuto prenderla velocemente, poiché questo incanta, lui avrebbe dovuto incantarla e far crocchiare le noci fino a cantare, lì lui avrebbe dovuto incantarla oppure tirarla su di una sedia per tessere e con la meccanica, lì lui avrebbe dovuto usare la meccanica oppure rendere conciso fino all’estremo, perché: tutto, c’è in ballo tutto, sempre, sollevare e come con la tessitura di tappeti e guardami, guardami sempre, dammi la tua paura, un bisogno, pregami.

L’arancione nella fontana, un’acqua infuriata, il sole sanguina o fende una sirena, verde, rosso, lì la notte scende sull’acqua acuta come aquila, cade, lì allora si tuffano in una tana e il baccano assordante, tanto che si deve gridare, quando il piacere divora uno, tanto che non lo si può sopportare, perché poi i corpi diventano troppo poco e ciò che è squarciato viene tagliuzzato con un’ascia nerboruta, tanto che uno affila una falce, un coltello per il filetto per il cuore per aprire ventri, tanto che uno avvia il macchinario e affila qualcosa, tanto che il rumore permane dall’affilare e affilare e dall’affilare e i breve il cielo inarca come un drappo e trascina giù agli angoli i teli da tenda, punzona, tanto che uno crea uno spazio e senza via d’uscita, lì passeggia il tempo o va perduto, lì si fermano e si guardano e lì lui reclama. Il loro corpo, tanto che lui vuole tutto, perché meno sarebbe ridicolo, rovesci assordanti passano sulle spalle come sulla campagna, tanto che se ne prova piacere ed uno diventa cupo ed ansioso, tanto che si pensa che si debba andare e stappare, dilaniare una donna squarciarla, famelicamente, tanto che non c’è più nulla da trattenere e non c’è da garantire per nulla come andare fuori di testa come capovolgere, viene qui da me, vieni da me, dammi prendimi sciogliti, voltati ti capovolgo.

Lui guardò fuori, un sensazione come di temporale, ma questa era solo una sensazione, cosa pensa lì, allora s’imbroglia tutto e fa una scocchezza come angeli strombazzanti in caduta libera, follie, kokosette, augite, coccarda, esatto, z come zucca, lui aveva creato tabelle, aveva fatto per sé così belle tabelle, con i numeri, lettere per l’ordine che a lui piace, dunque: lì ci sono zucche verniciate di fresco, l’autunno zolle nei campi papaveri belli come promesse spose, la pera cade, uva matura, un corvo chiama, nero il sambuco, ali, vola- no, dov’era lui, con la c di corvo imperiale, perché era autunno, a causa dell’arte combinatoria, perché lei è scaltra – ora lui ha un pensiero importante, lì lui ha perso il filo essenziale, lui aveva già ricevuto tutto attraverso la cruna di un ago, il filo rosso l’aveva già nell’asola ed avrebbe potuto ricucire qualcosa in maniera pulita, che cos’era, erano pere uva coccola di sambuco, è questo dunque, è un filo rosso? No, nessun filo, nessun filo e neppure rosso, nulla si può cucire con pere e uva, queste non sono fili, la frutta non è filo, la frutta appartiene all’ordine della frutta e i fili a quello dei filati, non si può rovinare tutto nelle categorie e fecondare mescolando, questo storpia e rende strabici i pensieri, per questo ci sono sa una parte i frutti e li mette in una terrina o su un cappello da donna, i fili rossi li si arrotola in spole e li si colloca in cassettine per il cucito come fisarmoniche, per l’ordine, lì è il filo ed è rosso, perché rosso è il ricordo, rosso è il sangue, è l’amore e un coraggio ardito, rosso è tutto ciò che fa male e addolora, è rosso, quando in testa cadono le scaffalature e i bicchieri si frantumano, quando un cielo si carica di furore, rossa è la distruzione e il piagnisteo e tutti i fili importanti, le spole tutt’intorno sono pericolose per la caduta e su di loro l’inciampare e il rompersi di qualcosa, quando si segue la spola e stana corvi imperiali di depredati campi, veloce un black-out, un cielo s’oscura, lì si spiega il filo e dev’essere stato in un tardo autunno e con il freddo gli stormi di cornacchie, che arrivano dalla Russia, dove altrimenti gelerebbero trasformandosi in cubetti amari cadrebbero dal cielo, quando altrove angeli  uva passa follie, congelate o divorate dai russi, perché quelli le divorano, perché i russi divorano le cornacchie come altrove si divorano le quaglie, quando il freddo era eccessivo e i russi troppo affamati arrivavano le cornacchie in enormi stormi, quando arrivavano. Poi un oscuramento e lì c’era un frusciare e un gridare, quando improvvisamente e d’improvviso la luce veniva inghiottita e il mondo collassava, poi iniziava una caccia selvaggia nel cielo e iniziava un malvagio flagello, le cornacchie s’abbeverano ad anime inselvatichite e uno schiamazzare uno strillare, che si sarebbe desiderato chiudere il suo viso, la ragione, il cuore, un’ira scagliata, no, una coscienza beffarda, modellata da presagi pericolosi d’improvviso erano lì quelle masse, quella moltitudine, che era una nera moltitudine, pixellata di migliaia corpi alla mano, allora, quando le cornacchie erano cadute sulla città, una volta si poteva incontrarne una, mentre uno scoiattolo lentamente e senza fatica la sminuzzava fino alla morte, le tagliuzzava il volto, la osservava, la guardava così pacifico e con una sicurezza silurante, tritava, sempre il volto, allora già usciva un sangue acre dagli occhi, le guance molli, allora piangeva già dalla bocca sottile, l’animale allora tritava la cornacchia con grande regolarità, e, non si sa perché, allora di volare non se parlava già più, allora l’animaletto si rizzava e così, face à face, osservando la sua fine negli occhi beffardi, così si tritava una cornacchia senza compromessi senza replica e senza alcun dubbio fino alla morte, allora in due sapevano di cosa si trattava e nessuna fuga, era così, quando le cornacchie si erano stanziate nella città, così lui le incontrava di nuovo, quando in quelle sere rovinate dal tempo gli uccelli a migliaia si divoravano l’ultima luce del giorno, questo è un tempo come uccidere, quando questo passaggio verso la notte guarda uno come un pugno chiuso e qualcosa lo guarda ghignando, una lingua grassa gli leccò il viso e lo lasciò con una terribile paura, questo accadde un certa sera, quando lui la vide, quando lui la incontrò, corse verso di lei attraversando la via oppure l’aveva stanata cercata cacciata –

Ma ma, quando, quando non si riesce più a pensare, perché lei fa cric crac nelle colonne delle sue tabelle o nell’alfabeto qualcosa si rovescia un tè o un’idea o uva passa, una tazza riposta o una barzelletta, quando lei cuoce una zuppa di lettere con le sue frasi e sparecchia tutto e ripete e non quadra più nulla, perché la sua elaborazione è sbagliata oppure perché non può cuocere, perché una zuppa di lettere è pericolosa e non salutare, perché la tecnica di lavaggio non può essere salutare, perché deve cancellare tutto, allora perde così, allora in lui arriva dentro qualcosa come: rosso, allora gli circola un sangue selvaggio e lui si prende una paura agghiacciante, così che lei rovescia sempre qualcosa e lui non sopporta quel rovesciare, non nei quadri e non nella natura e non lì dove non c’è natura, non deve, non dev’essere rovesciato nulla e un lavorare nella sua testa come il funzionamento di un pianoforte, lui l’ha seguita appostandosi l’ha cacciata l’ha abbattuta, no, ma no, sempre il cadere nei quadri e talvolta qualcosa come un balenare e un sognare, così che lui l’ha afferrata, questo è curioso. Che lui abbia desiderato colpire in quel modo, che lui l’abbia strangolata in quel modo, ha gettato scartato rovesciato il bambino, che quello era uno sventrare squartare un macellare – lui non sa se è vero perché questo quasi non ha potuto essere, questo non può essere ed ora passa la campagna, un treno è sempre metodico e cinerea è arrivata l’oscurità o l’esterno è solo nelle vetrate, angoli insabbiati, lui non si alza, sta come origliando e l’insicurezza, se questo è vero. Se esiste qualcosa di vero. Se tutto è solo un tessuto e come un meccanismo mobile, quando si afferra si spezzano le dita. Il pensare, il ricordare, la donna, se lei è vera, la donna, il bambino, ma questa è una promiscuità nella testa, cavolo, una testa, una testa non è una piazza di fiera, ma poiché il pensiero del bambino e la sua testa come piume, una donna e la sua donna, che una donna era la sua donna, che un simile dolore lo scompigli in maniera così bruciante e tiri nuovamente i dadi e poiché è nulla ciò che languisce, questo è un supporto a parte ed uno scivolo in vetro, allora qualcuno gli strappa via qualcosa sotto i piedi e lui potrebbe, afferrerebbe qualcosa, questo sarebbe nel mondo, ma lì non c’è nulla, nel mondo non c’è nulla, questo rimane, rimane: nulla, un lavoro in testa come il funzionamento di un pianoforte, che lì qualcosa pensò, ma questo lui non lo desidera. Questo non lo desidera.