Angelika Reitzer, Wien (A)

Nata a Graz nel 1971, vive a Vienna. La Reitzer è stata proposta per il concorso da André Vladimir Heiz.


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Angelika Reitzer

Super 8

Si trovava sotto il balcone di Albert (non osava chiamarlo), in un giardino completamente pulito: prima o poi sarebbe uscito. I cespugli e gli arbusti erano fiorenti, c'era libera appena una macchia di prato, lì cresceva un'erba alta e c'erano mobili da giardino che nessuno utilizzava. Biciclette e rimorchi per le stesse, un carro a rastrelliera. I residenti lascivano il giardino al suo sonno e lui sembrava guadagnarne. Lei veniva da una cena nella quale la gente aveva detto cose come: la mia arte è il mio lavoro, è il mio messaggio a questo mondo. Davvero avrebbe dovuto parlare con qualcuno (come l'affrontate voi: la questione dell'ufficio di collocamento e della sopravvivenza e poi ancora del buon vino?) Ma lei era sgattaiolata via prima che gli altri potessero capire che tipo fosse.

Non poteva più ricordarsi il perchè dipendesse così tanto da lui. Albert parlava a tento; i mobili delle sue camere facevano l'effetto di riproduzioni rimpicciolite di mobili veri. Non c'era traccia di polvere sulla scaffalatura dove si trovavano i libri antichi, non un capello. (Un paio di volte avevano fatto il bagno insieme e una volta lei gli aveva lavato i capelli. I suoi sottili capelli, fatti di sole punte, si asciugavano subito. Proprio come non si fosse mai immerso.) Lei tornava continuamente lì, sotto il suo balcone.

C'è del legno nell'acqua, come vi fossero barche non ancora terminate, oppure come si fossero già sfasciate. Albert parlava di barche, guardavano verso l'oscuro gardino, sotto la sterpaglia. Ma lei non aveva capito bene di quale città parlasse, forse non l'aveva citata.

Case galleggianti, certo, e anche navi da carico ce ne sono. E i containers si trovano semplicemente nell'acqua lì intorno. Lei avrebbe voluto sentire di fatti e dettagli, ma lui diceva solo: tanto tempo fa. Questo è successo nella mia ultima vita. D'improvviso Albert era uno che aveva viaggiato continuamente. Da quando lei lo conosceva lui non aveva mai voluto lasciare la città. Proprio così. Ora raccontava di quartieri sull'acqua di fronte alla città, dell'intreccio di legno, latta e capanne presso l'acqua e nell'acqua e diceva che i bambini s'arrampicavano sui tetti. Tutto continua a crescere senza che agli altri debba essere tolto qualcosa. Spazio, penso io. Allora lei era la donna al suo balcone, si interessavano di altre sfaccettature e infine lui parlava di una donna, come faceva troppo spesso - allora lei non volle più ascoltare e gli chiese se l'avesse pagata per essere stata con lui. Lui rispose: sì, forse, e poichè non seppe nulla di più gli chiese se avesse visto anche idrovolanti e Albert disse: ah, idrovolanti. Sì, li aveva visti ma non erano interessanti e poi parlò delle pista di decollo sull'acqua, di quanto da vicino lì le enormi macchine si alzassero e dunque alla fine lei capì di quale città stesse parlando.

Non si erano mai telefonati, Albert non aveva il telefono e lei non chiesa mai il numero dei suoi amici, quelli che abitavano sotto di lui e che gli avevano affittato il primo piano. Una volta la donna del pianterreno era venuta al parapetto della terrazza. Disse, senza guardarla: lui non abita più qui. Avresti dovuto già saperlo. Poi era uscita dal rigoglioso giardino e aveva tirato la porta del giardino deitro di sè, le risultò difficile andarsene dalla casa, non poteva farsene una ragione.

Angelika Reitzer (Foto ORF/Johannes Puch)

Albert piazzava cocaina che lei pagava, perchè non aveva soldi, sarebbe andata volentieri al mare con lui, voleva fare il bagno. Rimasero al bar, lui disse: è una figata che si possa bere quanto si vuole! Lei ballava e pagò il bar per entrambi, potè accompagnarlo a casa (ora mi sono sistemata lì), si baciarono a lungo, non andarono insieme di sopra. Allora, quando c'erano da seguire più progetti contemporaneamente, lo aveva visto nella rimessa dove circolavano bicchieri di tequila e wodka.

Lei aveva molte idee e per la maggior parte piacevano a U. Lui le aveva dato un dittafono e lei dettava. Era addetta alla comunicazione e redigeva anche budgets, quand'era necessario. Poi doveva assistere i singoli partners, così andò a finire che lei si sistemò come studentessa in un uffcio informazioni. Quando lo chiuse a chiave, nel locale lì accanto il DJ mise mano al regolatore alzando il volume: lei si fermò, si attaccò alle persone di uno dei musei e agli artisti, se ne andò con loro e con l'equipaggio altrove. Una volta finirono fuori, in un quartiere dormitorio: al centro di un appiccicoso rivestimento in legno musica western o country. Albert era venuto con i tecnici, a lei non dava fastidio. U. l'aveva irritata quando aveva detto: tu dovresti essere sempre rintracciabile. In un primo tempo sembrava che per lui fosse indifferente quando lei si mettesse a lavorare ai progetti, tutto procedeva fluido, si odiavano reciprocamente, lui andava volentieri a fare passeggiate, lei andava con lui, ascoltava i suoi monologhi e si cimentava nella trasposizione. Lui non pagava le ore che lei faceva, pagava il potenziale e il risultato. Lei assumeva sempre più anche compiti personali e quando il ragioniere le disse: tu sei l'assistenza, lei non capì se fosse stato detto con riconoscenza.

Lei si sedette al bar accanto ad Albert. Andò a casa con lui e potè vedere tutto. Lui era malinconico, amava la musica elettronica, che invadeva l'intera camera, era bello il fatto che lui volesse parlare un po' con lei, ma non troppo, riscaldava infuso di mentuccia, erano già fatti. Allora lei andava alla casa di Albert in città, talvolta lasciava un paio di righe sulla porta, oppure attendeva sui gradini di pietra. Lui avrebbe dovuto dirle se non voleva più vederla, di questo era certa.

Poi (di nuovo) sali gli scalini deitro ad Albert per raggiungere l'illuminazione che si trovava più in alto. C'era tutto in quell'estate: opera, dramma, tutta musica bellissima; la luce cambiò le tonalità, spiccarono coloro che parlavano, mostrò a lei quelle figure che prima, nella sua esistenza sfolgorante, non aveva conosciuto e oscurò qualcosa. Lei amava l'atmosfera delle rappresentazioni, a lei piacevano i colleghi di Albert che di tanto in tanto la osservavano col solo tono interrogativo. Una volta uno di loro parlò di lui alle sue spalle come si trattasse di uno che non sarebbe rimasto lì a lungo. Lui si assentò e lei s'immaginò lo spettacolo senza di lui, si sentì una traditrice. Per metà della notte lo cercò. Lo aiutò a salire le scale fino all'appartamento, volevano dormire insieme, lui tracollò dal sofà, lì dove lei era distesa; tutto era bagnato. Ci mise un po' prima di capire. Più tardi si chiarì finalmente tutto. Lei si attaccò a lui, certo. Non poteva stare senza di lui. In qualsiasi situazione si trovasse lo desiderava. Talvolta si sentiva così lontana dal volere liberamente che non si rendeva conto di altro. Percepiva quelle situazioni con costanza, per questo era convinta della bontà del suo sentimento: i raggi del sole volevano penetrare nella camera, ma le spesse ed oscure tende li tenevano lontani. Qualcosa di lui era posato su ogni cosa. La camera era abitata dalla sorella, che lei si immaginava alta e snella. Amorevole e bella come Albert; era lui senz'altro. Solo, lei non poteva evitare la sua tristezza. Erano distesi sul pavimento e lì attorno c'erano bottiglie, dal lavandino spuntavano fuori le stoviglie, non c'era un buon odore. Per prima cosa, mezzo addormentata, lei cercò di non muoversi, non voleva sentire il bagnato sul corpo, s'era fatto tardi da tempo. Non fa nulla, pensò lei mentre alzava ed abbassava le pesanti palpebre. Sarebbe rimasta lì finchè lui non si fosse svegliato, poi avrebbe potuto mandarla via, poi lei o lui avrebbero potuto dare un colpo di spugna, ma quel pensiero non poteva piacerle. Albert non le aveva raccontato perchè non andasse più al lavoro, questo sembrò essere per lui definitivo. Lei gli aveva detto ciò che dicevano di lui i suoi colleghi, che mancavano i soldi, lo voleva consolare, lui l'aveva spinta di lato. Come se lei gli fosse di peso. Lei continuò a vedere in lui o accanto a lui qualcosa che aveva la dignità della libertà. Lui era un uomo libero.

Lei sopportava. Lei lo sopportava. Quando avevano piegato i loro corpi, il profilo che ne era derivato era quello che lei voleva seguire con le sue membra, stirarsi al punto che sarebbe tornata la chiarezza. Lei voleva ma lui non l'aiutò. Il peso delle ultime lunghe notti pesava sui dormienti e questo lo distinse ancora una volta da un incosciente che non poteva più ricordarsi dei suoi giorni passati, perchè mai lei continuava a vedere quello sterile spazio grigio chiaro intorno a lui, come se avesse tirato dentro il sudiciume?

Doveva lasciarlo dormire, doveva lasciargli la quiete che lui desiderava. Ne aveva bisogno. Anche in quel momento, nel mezzo delle sue cadute, lei era di peso. Avrebbe dovuto trovarsi nel suo appartamento, a lasciar scorrere acqua sulle sue spalle, sul suo ventre, le gambe sollevate ed era ancora calda; avrebbe potuto lavarsi come ogni giorno, odorando lo shampoo, insaponandosi, avviluppandosi in un grande asciugamano, potendo decidere di infilarsi nel suo letto oppure di andare incontro alla giornata che stava per iniziare. Inoltre. Lui non poteva toglierlo di mezzo o liquidarlo. Lei percepiì qualcosa, sentì il pavimento, il freddo liquido intorno a sè, alla sua pelle rovinata. Lei non lo perse quando si coricò per addormentarsi. I suoi sogni gli appartenevano, il suo sonno gli apparteneva, le sue notti le voleva passare insieme a lui, voleva risvegliarsi con lui, come una volta, senza essere distesi sul pavimento, lui era rimasto tramortito, avrebbe ripreso coscienza, poi sarebbe tornata anche quella di lei. Le aveva bisogno di tempo, e di tenacia (era dotata di tutto).

 Angelika Reitzer (Foto ORF/Johannes Puch)

Lei in quel momento non poteva accendere il suo telefono, non poteva controllare se qualcuno avesse chiamato. Avrebbe dovuto preparare i documenti, non era più stata in ufficio da un paio di giorni. Solo di recente lo sviluppo aveva subito una battura d'arresto, erano soprattutto le componenti interattive a dare problemi. Poi i partners erano smontati. Lei in ogni caso aveva fatto tutto e naturalmente più di quanto avesse dovuto. Albert non aveva preso sul serio il suo impegno, la chiamava riservista (ognuno di noi è materiale umano in una grande armata di riserva). Se va avanti, ci espanderemo in tutto il mondo. Lei era entusiasta del progetto e di U., il leggero ed accurato responsabile del team che faceva continuamente risuonare il fatto che lui avrebbe trovato un modo per esserle grato. Lei dunque era già stata lì dentro! Non poteva capire esattamente che cosa fosse cambiato. Mai. Era stata puntuale all'incontro con gli investitori, ma quando salì le scale fino al secondo piano lei era cosciente che arrivare puntuali significa essere in ritardo. Gli uomini, vestiti di scuro, sedevano al tavolo del salotto di U., una situazione assurda, si sentiva insicura, per sè spostò una poltrona d'ufficio accanto al tavolo basso. D'improvviso era diventata la segretaria che doveva servire il thè e prendere appunti. Si sentì irrigidita, guardò se stessa, verso il basso, ma era tutto a posto, non c'erano macchie di dentifricio, non aveva resti di cacca di cane alle scarpe, i suoi pantaloni non erano così nuovi e splendidamente scuri come i vestiti degli uomini, ma erano puliti. Si scordè del thè e quando lo portò era ormai imbevibile. Voleva rimetterlo su, ma ormai non lo voleva più nessuno. Tornò ancora una volta in cucina, dove sarebbe voluta rimanere. Doveva farlo. Doveva andarsene da lì. Ma in quel momento non era possibile alcun movimento, non poteva piangere, non poteva urlare, poteva solo aspettare. Con Albert era tutto diverso.

Una volta lui le aveva regalato un libro dalla sua raccolta, uno di quelli vecchi.

All'inizio lei aveva detto: non vado bene per te, dovresti essertene accorto. Una volta avevano trascorso un'intera notte sul piccolo balcone, lei aveva raccontato della sua città dei sogni.

Lei non sapeva neppure che cosa volesse da lui, talvolta rifletteva se fosse il caso di dirgli la verità su lui e lei.

Come si sentì alleggerita quando lui scomparve ancora una volta.

Ed ogni volta lei era sicura che quello era solo un commiato avvenuto per errore.

Con Albert aveva riso. Doveva irriderlo, aveva cominciato così. Le andò bene.

Con Albert era tutto diverso.

Lui aveva solo bisogno di essere lì.

Lei si sedette su di una ciclette in un enorme soggiorno, iniziò a pedalare guardandosi un film. Dal piccolo parcheggio davanti casa si sentiva il motore della grossa auto / il cancello elettrico si chiuse, scorse tra l'ingresso e l'uscita (fu così per ogni rientro a casa, per ogni uscita nettamente separato l'interno e l'esterno: è bene che fosse così, si potrebbe anche domandare che cosa sia meglio ora, attardarsi all'interno o uscire?). La porta dell'auto si chiuse, ora dovrebbe aprirsi immediatamente quella di casa. La donna sulla ciclette si immaginava talvolta quando la sua propria ombra la mattina presto tira fuori dai letti le ragazze, dopo aver bevuto il caffè, aver letto il giornale, ecc.; mentre lei stessa percorre con la bici da corsa la lunga strada che la porta alla zia felice e sente distintamente il vento, il vento del viaggio, quello che ha a che fare con la pelle, lascia andare la bici, scende sempre sulla strada che porta alla zia felice. I giorni, con le loro ombre, sono simili a lei, ma le ombre non sanno nulla dello sfinimento. Di quando lei è vicina e lontana contemporaneamente e di quando lei racconta alla zia felice del suo ultimo viaggio. Di come lei sia partita su bus fracassoni attraversando il paese da nord a sud, si sia fermata dove più le piaceva, dei ritardi di ore e ore e della rabbia e della letizia degli uomini. Lei non deve darsi pensiero se un cibo è troppo piccante per le ragazze, se loro siedono troppo a lungo nel bus sovraccarico, in quale letto dormiranno tutte, se sarà sufficientemente pulito. E quando la zia felice chiede del suo accompagnatore lei risponde allegra: cambiano, ce ne sono abbastanza in giro. Sulla ciclette, ad una frase del genere, avrebbe dovuto aggrottare la fronte. Si sentì sospirare, guardò subito oltre le spalle. Nessuno la sorprese. La donna sulla ciclette negli ultimi tempi non poteva sempre decidersi se il suo uomo (Gabriele) dovesse viaggiare con lei. Lui era diventato sollecito, ambizioso. Quando era lì, lui era un buon padre che per le sue figlie non aveva solo trovato nomi esotici; in lui, quand'era con loro, c'era una maggiore gravità. Gabriel stava bene di fianco all'ombra di lei.

La sua felicità era delimitata da due coordinate: lui aveva attraversato una giovinezza felice nella prospettiva attendibile di un futuro nel quale tutto sarebbe stato possibile. Con i suoi genitori e le sorelle aveva vissuto in un edificio con abitazioni modulari che era stato realizzato parallelamente alla crescita dei bambini. Con gli anni vennero realizzati nuovi locali, all'interno, all'esterno e sopra il loro appartamento. Vi si sistemarono amici e reietti, i parenti si stabilirono da loro. Vennero costruiti balconi e deitro il vecchio giardino ne venne realizzato un altro. Nella cantina della casa si trovava la piccola camera e un locale con una parete rotonda e una grande scrivania. Pareti piastrellate, armadi componibili, uno schermo (il tutto apparteneva ad un altro tempo, ad un'altra famiglia). Inoltre, il ripostiglio era grande quanto la piccola camera, solo senza finestre e le profonde scaffalature occupavano tutto lo spazio / quando lei si trasferì nella casa non le era per nulla chiaro come lì si potesse creare una visione d'insieme. Lei aveva detto spesso: per favore, chiudi sempre le porte, così il caos se ne resta fuori, si distribuisce nell'intera cantina. Da qualche tempo l'acqua piovana era spinta verso il piano sottostante, nessuno l'aveva notato, lei non voleva dire nulla / lei poteva usare tutto / secondo l'inventario dei ricordi disponibili ed ora: quando si era rimediato ai danni provocati dall'acqua. (Il parquet aveva prodotto onde fino a sotto gli armadi componibili, lì dove vivevano formiche in grande quantità, le quali si trasferirono ovunque sull'intero piano, quelle conoscevano i ripostigli, il bagno e la donna in cantina, sì, conoscevano anche lei. Talvolta si svegliava a causa di un solletico alle braccia, sulle spalle, sulle guance. Si faceva subito la doccia, appena alzata, ma le formiche erano sempre lì davanti a lei. Le cacciava via con il tiepido e sottile getto d'acqua. Ma loro tornavano. I ragni c'erano prima della pioggia, i ragni esistevano lì prima degli uomini, di sicuro. Ora inoltre marciavano come soldati. A schiera. Riempivano le fessure. Prendevano le loro strade, c'erano talmente tanti punti nei quali l'intonaco un poco si sbriciolava, quindi vi si infilavano, il terreno sotto il prato sarà pieno di ragni e un giorno lo saranno anche quei locali.)

Lei aveva sempre atteso che telefonasse qualcuno legato ai precedenti progetti, che qualcuno domandasse, loro non avevano mai potuto fare a meno di lei. Lei aveva lavorato davvero tanto e aveva cercato di fare sua quella materia così aliena. Le poche volte nelle quali, in occasione di meetings, non aveva capito esattamente ciò di cui si stesse parlando le si erano infilate fin nelle ossa, naturalmente. Ma lei non aveva solo recuperato. Lei era buona. Era flessibile. E alla mano. L'unica telefonata dall'ufficio arrivò da una donna che lei non conosceva e che le inviò una lista di domande, alcune con scadenze, tutto davvero non ispirato. Come se loro non si aspettassero che lei lavorasse di nuovo per loro. Si mise a guardare il calendario ed era irritata dal fatto che non si era ancora preoccupata di trovarne uno nuovo, poi ancora: poco male che lei il vento possa solo ascoltarlo e non avvertirlo, questo doveva darle fa pensare. Salì sul sottile trinagolo di luce che era sul pavimento dell'anticamera, quando nella piccola camera prese il cuscino che lei aveva salvato prima del riordino effettuato da Gabriel / e significava davvero averlo salvato. Lui per motivi di spazio voleva eliminare un buon o quantomeno vecchio periodo. Gabriel voleva cambiare se stesso / e anche gli altri. Per questo si rinnovava continuamente ed alcuni risultati erano già visibili, lavorava in team, diceva: volentieri. Lei si era data da fare, una volta, due volte, voleva imporsi, voleva sempre mostrare ciò di cui era capace, non voleva affidarsi agli altri. Il grande progetto si sarebe realizzato autonomamente e ne avrebbero approfittato tutti. Anzitutto assistenza, poi guida del progetto e una volta, non ho idea / nessuno si era interessato del titolo, una volta sarebbe diventata direttrice di un settore, aveva raccontato lei a Gabriel / sai: resposnabile di tutti i musei. Chiuse la porta, il proiettore crepitava.

 Angelika Reitzer (Foto ORF/Johannes Puch)

La luce cadde sullo schermo e l'obiettivo venne messo a fuoco, lettere bianche su sfondo grigio: BANGKOK. Lei dovette pensare subito allo studio 14 là davanti, nella squallida strada, sotto c'era anche BANGKOK e poi: AMORE VERSO L'ESTREMO ORIENTE. In una scritta analoga e le lettere anche lì potevano reggersi poco (del resto neppure dovevano). In un'altra vita Albert era in viaggio ed era stato insieme con uomini che successivamente potevano ancora scacciare il torbido dal suo sguardo (per alcuni istanti). Che cosa è successo? Le condizioni erano davvero così cattive? Gli altri lavoravano di fatto alle stesse condizioni. L'immagine si sfilacciava oppure il contrario: nelle singole scheletriche sfrangiature affondava il nero attraverso il margine dell'immagine; lunghi arbusti, foglie e: tetti ricoperti, dai quali cola acqua, che ricordano qualcosa (solo la luce sarà stata un'altra, di sicuro). Tour in barca attraverso le khlong; c'era una donna in acqua, si lavava. Scaldabagno sul tetto, antenne; lungo il canale e in acqua cresceva il verde, viene da pensare: giungla. Il viaggio proseguì alla velocità di 18 immagini al secondo. Figure secondarie o statisti. I volti dei compagni di viaggio mostrano e contemporaneamente cancellano / controluce. Tempio della quiete e tempio delle autore e sorvegliante del tempio in pietra, statue dorate di coricati buddha e un tempio in marmo. Tutto era circondato da armatura. I tetti. Le statue, gli altari. Piccole campane e foglioline erano mosse dal vento. Spighe di comignoli. I cespi di banane erano racchiusi nelle armature e ugualemente le banane che li sostenevano. I turisti si muovevano ovviamente come turisti per la strada; avevano le maniche di camicia tirate su, alcuni portavano pantaloni corti, tutti avevano enormi occhiali da sole. Lei sentiva l'acqua, il movimento delle barche nei canali, oppure si trattava ormai solo di un ricordo, come vento che soffia sull'acqua?

Due giovani tipi stavano sbrigando un affare al mercato che non era destinato ai curiosi, di sicuro no; e tutti allontanarono immediatamente lo sguardo (in forma drammatica o discreta). Venne fatto in pezzi un grosso blocco di ghiaccio, lì accanto cesti di vimini. Lì attorno gironzolavano uomini: uno moro si carnagione, a piedi nudi e con un fazzoletto sulla testa; un altro alto e magro, anche lui a piedi scalzi / elegante, o trasandato; le sorrise. Lei riconobbe anzitutto i suoi grandi denti. Non conosceva però il sorriso.

Gabriel si trovava nell'anticamera, origliava i rumori (lui cercava i rumori che avrebbero potuto esserci): la voce di una donna che tranquillizzante si rivolge a un bambino appena risvegliatosi o spaventatosi / una voce al telefono, musica o silenzio). Sentì forte se stesso, perchè tutto taceva; la porta della camera dei bambini accostata, la cucina nell'oscurità, sentiva il proprio respiro pesante. Vide l'auto nel piazzale, ora il cancello elettrico era inserito. Era a casa. Osservava le scale della cantina verso il basso (forse), appese una giacca, afferrò la chiave, se ne andò volentieri a piedi scalzi per casa, questo era il massimo (talvolta si sentiva come nuovo); poi l'intero appartamento doveva odorare come l'interno di un auto con la quale si sono fatti solo pochi chilometri, solo: una leggera puzza di chiuso emanava ancora dai vecchi mobili, usciva dalle scalfitture, ma non era nulla di grave), nessuna luce da lì sotto, nessun suono.

Insieme a sua moglie e alle bambine avrebbe voluto viaggiare per mezzo mondo, contemporaneamente estranei sarebbero dovuti vivere nella sua casa e c'erano piani per finaziare tutto ciò. La donna sulla ciclette poteva ben immaginarsi quella famiglia sconosciuta: i bambini rifiutano lo sformato di verdure, gridano prima di andare a dormire, litigano per i cuscini di sabbia, o per i giocattoli dispersi per l'intero giardino. Lasciano la cucina lurida e dimenticano di spegnere il lucernario della sala da pranzo. Si potrebbe sorridere pensando a come dormono, l'uno accanto all'altro sui materasso quasi nuovi.

Lei ha spento la luce (il giardino era finalmente al buio). Ha spento le lampade nell'enorme soggiorno e nell'anticamera. Ha controllato la porta d'ingresso. Gabriel ascoltava il respirare di sua figlia, poi la seguì in bagno. Non una parola. L'acqua scorreva. Asciugamani, la veste sulle mattonelle, movimenti analoghi, un contatto noto, c'era una striscia di luce sul tappero, accanto al letto, la pelle di lei non tremava, lui si voltò una volta / ancora, si avvicinarono tra loro, teneri, stanchi. Come se lei sussurrasse: esprimi il desiderio di ciò che è qui. Era così. Tra loro era tutto disponibile, il lenzuolo di lino sgualcito, l'aria tra le imbottiture, le loro coscie, ora solo la pelle o i palmi delle mani. Un colpo, smorzato, ora lui e lei / ora fermami / ferma.

 Angelika Reitzer (Foto ORF/Johannes Puch)

Lei vide le donne in posa sugli scalini, quando il vento attraversò la camicetta di seta di una di loro, facendola scoppiare a ridere. Quei bei volti la guardarono, le sciccose pettinature delle giovani, i piatti cappelli di bambù. Poi rispuntò lui, era fatto così! Albert, sempre a piedi scalzi, si trovava in una strada piena di vita; negozi e locali, bettole, agenzie di viaggio e centri per i massaggi. Si sedette su di un muro sotto dei portici, i piedi a penzoloni. II suo viso non era pallido come utimamente, il sole faceva bene alla sua pelle, rilassò i tratti attorno alla bocca, le rughe erano molto più profonse. Non se ne accorse subito, d'improvviso di fianco ad Albert c'era una piccola e fragile donna. Fu un movimento o un incontro assolutamente naturale quello che lei si fece sfuggire. Una volta lei lo fece a tal punto innervosire che lui alla fine citò il nome della donna che avrebbe quasi sposato. Allora lei cercò di ricordarsene e provò a dirlo: Nung e Gung e Nuh, ma non ricordava più quel nome e così chiamò la donna al fianco di Albert Malie, che significa Jasmin ed a lei sembrò appropriato, da quella donna veniva un buon profumo.

Lui era così elegante.

Ora Malie non la si vedeva più. Forse le stava a cuore che non avesse più alcuna fiducia nel futuro. Nient'altro.

Probabilmente tutto ciò non aveva nulla a che fare con la sua condizione incerta, con il suo declino o caduta.

Lui era un altro.

Ciò che rappresentava il prima non aveva ormai alcun significato: i suoi scritti sgangherati o la tendenza di Albert a contrapposizioni fatali.

Lui indicava oltre la struttura, oppure una piscina.

Lo strombettare dei tuktuks e quello delle auto, il rimbombo di motori, voci di uomini e grida di uccelli, i brusii della calura, della strada e degli edifici, tutto in lontananza. Albert scoppiò a ridere.

Attorno a lei cresceva rigogliosamente il verde, si fermò davanti casa.

Forse Albert era come lei.

Gli operai sulla armature lavavano i pennelli.


Tradotto da Vito Punzi


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