Volker H. Altwasser

Nato nel 1969 a Greifswald, vive a Rostock. Ha svolto numerose attività professionali, tra cui operaio elettronico, fuochista e marinaio. Dal 1998 al 2001 studi di letteratura tedesca.

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Volker Harry Altwasser

Ultimi pescatori

 

Traduzione: Vito Punzi

 

La Saudade si trovava già da sei ore sulla via per No Man Ariel, di fronte alla Somalia, per la caccia al tonno. Pensieroso, il terzo ufficiale squadrava le carte nautiche dell’enorme territorio. Non apparteneva ad alcuno. Non era ancora mai appartenuto a nessuno, se non al tonno, il pesce che si stava estinguendo sotto le carene delle navi. Il giovane ufficiale di marina, stanco già di buon mattino, si passò entrambe le mani sul viso. Trawler russi, spagnoli, portoghesi e giapponesi s‘incrociavano lì a centinaia ed erano diventati da decenni concorrenti strapotenti dei pescatori locali, così alla fine questi ultimi, i somali, si sono trasformati in pirati. In questa terra di nessuno del mare la mafia italiana aveva gettato alla metà degli anni Ottanta rifiuti tossici, ed il terzo, mentre osservava lo schermo del sonar, si chiese nuovamente se tutto ciò valesse ancora la pena. Doveva cambiare mestiere? Questa era una domanda che lo impegnava già da tempo? E in più s’aggiungeva il nuovo pericolo! Nell’ultima settimana per la prima volta i pirati avevano attaccato un trawler. Malgrado un equipaggio di quasi cinquanta uomini. Il Verlaine avrebbe potuto respingere i pirati con le proprie forze, e tuttavia quel tentativo non mostrò forse che orami era la fine? Il giovane e ambizioso uomo gettò uno sguardo sul radar. Vide un piccolo punto verde precipitarsi sul Saudade. Che cosa succederebbe ora se si trattasse di una nave di pirati?

Ordinò “macchine avanti tutta” e salì sul pennone. Con l’incisore marino squadrò con cura la barca da pesca. Si trattava di una vecchia piroga. Nessun motore. L’unica vela era posata. Un giovane e un vecchio, non c’era altro equipaggio. Non c’erano tendoni sotto i quali potessero nascondersi armi o uomini.

Il giovane stava a prua ed agitava qualcosa che assomigliava ad uno straccio, uno straccio grigio. Era quasi triangolare. Era forse una razza? “Ma di quale tipo?” si chiese l’ufficiale di guardia prima di essere preso d’improvviso da una buona premonizione. Rientrò in cabina, ordinò di fermare le macchine e attraverso l’altoparlante di bordo fece la seguente comunicazione: “Attenzione! – l’operaio Robert Rösch subito sul ponte! – Attenzione! – l’addetto al trattamento Robert Rösch sul ponte!”

Robert Rösch se ne stava sbronzo sulla sponda della cuccetta. La prima cosa che gli passò per la testa dopo un’imprecazione fu la supposizione che fosse successo qualcosa a Mathilde! Sarebbe ora. La notizia che lui temeva da anni sarebbe finalmente arrivata. Sua moglie – ma no! Al contrario: Mathilde l’aveva pregato di restarsene per sempre sulla terraferma e lui non aveva detto subito di no. Lui avrebbe rafforzato il risvegliato coraggio di vivere di sua moglie. Anzitutto, almeno.

Quel coraggio la tenne in vita con speranza, questo lo tranquillizzava, e comunque si recò dall’ufficiale di guardia in tempo record: “Sul ponte! – l’addetto al trattamento Robert Rösch”.

Il terzo ufficiale gli fece un cenno dalla testa del pennone e gli porse l’incisore marittimo: “Che ne dice di questo?”

Robert guardò attraverso il binocolo: “In ogni caso una specie di pipistrello di mare, quello che agita il giovane. Potrebbe essere semplicemente un rosso pipistrello di mare, ma anche un dannato pesce rospo. – Ma potrebbe anche essere un pipistrello di mare dal naso corto”.

L’ufficiale annuì: “E’ il suo parere?”

Robert riconsegnò il binocolo: “Bisogna vedere, verificare. – Forse a bordo hanno qualcosa più di quel solo brandello”.

L’ufficiale annuì di nuovo: “Sono totalmente d’accordo! – Vada a mezzanave verso babordo. Caliamo subito in acqua un cutter”.

Robert annuì, scese lungo la scala del pennone e sentì chiamare tramite l’altoparlante il personale del cutter perché si presentasse sul ponte di coperta. Poco dopo sedeva con il commissario di bordo e due uomini della guardia di coperta nella piccola imbarcazione che era stata calata tramite una gru. Colpì con vigore la superficie tranquilla del mare, gli uncini vennero sganciati e fu avviato il motore. Robert vide l’uomo ammainare e mettere in panna la vela.

Lo specialista di pipistrelli di mare Robert Rösch pensò che avrebbe visto di lì a poco un rosso pipistrello di mare. Questa specie era nota dall’Ibaraki giapponese fino in Corea e in India. Si allungava fino a trenta centimetri e si faceva granulosa toccando l’addome e la parte inferiore della testa. Venne scoperta solo il ventiquattro aprile millenovecentotrentanove ma da allora si era diffusa rapidissimamente. In precedenza aveva abitato i punti più profondi degli abissi, ma ora qualcosa l’aveva portata nelle acque poco profonde, ricapitolò Rösch. La sua carne non era commestibile e non interessava neppure gli altri pesci. Come tutti gli altri pipistrelli di mare, anche questo era tra i più bizzarri pesci di mare. Visto dall’alto il suo corpo appariva molto appiattito e nella sua forma triangolare era quasi circolare; era come scrutare dal cosmo le piramidi d’Egitto.

Se si fosse trattato di un pesce rospo il corpo sarebbe stato più sottile e la pelle più ruvida, l’addome più ampio e davanti agli occhi ci sarebbe stata un’apofisi di pelle. Quel pesce se ne restò sul pavimento e si mosse appena. Lasciò penzolare l’esca nella corrente e quando un pesce più piccolo gli passò accanto e gli prestò attenzione, il pesce rospo aprì solo la bocca, e in essa la corrente cacciò inesorabilmente il cacciatore. Il pesce più piccolo finì con l’essere mangiato e subito il pesce rospo richiuse la bocca per attendere in letargo altro cibo.

Quell’esca rappresentava la grande differenza con il rosso pipistrello di mare, che si distingue di poco dal pipistrello di mare dal naso corto, la cui pelle nel sud della Francia viene pagata a peso d’oro.

Entrambe le specie avevano grosse pinne sul torace ed un gran numero di aculei sul dorso. In quegli aculei era contenuto un veleno che per l’uomo era dieci volte più mortale di quello dei serpenti. Tutte le specie di pipistrelli di mare vivevano in ambienti sabbiosi, dove se ne stavano ricoperti per metà, così che dalla sabbia emergeva solo la cute superiore, ricoperta dagli aculei. La cute era lo strumento di caccia di quegli esseri viventi che agivano di notte, e proprio quella cute era il motivo per cui i pipistrelli dal naso corto venivano cacciati; Robert guardò di nuovo attraverso l’incisore marino: il giovane continuava a tenere in mano l’animale. Però si era arrotolato un panno attorno alle dita! Robert lo interpretò come un buon segno.

Ammiccò agli ignoti pescatori, i quali ricambiarono il suo saluto in silenzio e curiosi. Il cutter decelerò ed infine le due imbarcazioni furono l’accanto all’altra. Robert saltò nell’altra imbarcazione e offrì per prima cosa la mano all’uomo, il quale l’afferrò sorpreso, senza stringerla, prima che Robert si dirigesse verso il giovane, che nel frattempo aveva deposto il pesce davanti a sé, sul pancone.

“Davvero troppo grosso”, passò in quel momento per la testa di Robert: “Ma che significa!”

Girò il pigro pesce sul dorso e sfregò un poco la cute inferiore. Poi lo rigirò di nuovo ed annuì. Non c’era alcun dubbio! Si trattava davvero di un pipistrello di mare dal muso corto! Era lungo quasi trenta centimetri. La cute era in condizioni impeccabili e ciò che era più importante: il pesce era ancora vivo!

Non era stato tirato su con una paranza, piuttosto era stato portato fino alla superficie lentamente e meccanicamente con un amo da fondale, così che si era abituato alla diversa pressione e non era imploso. Dunque avevano tempo! Lo specialista dei pipistrelli di mare Rösch annuì al commissario di bordo. Con calma stimò il valore di quella cute in duecentoquarantamila dollari statunitensi.

Fu preso da affanno quando il giovane riprese un panno da un secchio spingendo questo stesso davanti a lui. Al suo interno nuotavano altri sette esemplari. A Rösch bastò un’occhiata per esserne certo: erano sì più piccoli, ma insieme avevano un valore di mercato di circa un milione di dollari statunitensi!

Con assoluta noncuranza Rösch rimise il pesce più grosso nel secchio, osservò quanto rapidamente quello si riprese ed accennò al commissario di bordo che lui si sarebbe accaparrato di tutti gli otto esemplari.

Il nativo dell’India annuì e i due pescatori di costa furono contenti quando si accorsero che loro lo comprendevano. L’offerta era di cento dollari statunitensi.

Il vecchio scosse la testa, aveva già sentito parlare molto di quei pescatori d’altura provenienti da paesi lontani.

L’indiano alzò subito il prezzo a duecento dollari.

Il vecchio guardò suo nipote, qualcosa lo aveva sorpreso. Era stato quel rapido rialzo? L’vecchio ci pensò su. Cosa c’era mai in quell’inutile pesce piatto? Il suo popolo lo odiava per quei suoi aculei velenosi. Scosse di nuovo il capo e udì con stupore l’indiano portare il prezzo a mille dollari.

Contemporaneamente venne accennato al vecchio pescatore che quella era l’ultima offerta.

Il vecchio annuì un poco e distese tre dita. Facendo questo guardò suo nipote e d’improvviso il vecchio si ricordò il suo vecchissimo sogno del mare! Il mare era sul punto d’esaudire il suo sogno. Voleva renderlo ricco, così lui avrebbe potuto mandare suo nipote in una grande e importante scuola! Subito mostrò con l’altra mano che il prezzo non ammontava più a tre ma a ottomila dollari.

Tenne le otto dita in aria in forma rivendicativa e quando vide il volto eccitato del suo giovane parente per la prima volta rise. Non fece attenzione allo scuotere la testa del commissario di bordo indiano, osservò cocciuto il suo viso ed attese.

Le otto dita rimasero lì dov’erano. Il vecchio pescatore non voleva alcun incrocio di sguardi, voleva che fosse pagato il prezzo. Tranquillo e fiero guardava in lontananza.

Infine il commissario di bordo della Saudade fece spallucce e pagò, ponendo gli ottomila dollari sulla mano tremante del giovane.

Soddisfatti, i due uomini si inchinarono l’uno all’altro e si accomiatarono. Robert stava ancora guardando, si era già riseduto nel cutter, con tra le gambe il secchio con i preziosi pipistrelli di mare, quando il vecchio accarezzò con una mano i capelli del giovane e lo baciò sulla fronte. Robert Rösch si voltò in avanti ed ignorò le domande bisbigliate dell’equipaggio del cutter.

Neppure il commissario di bordo rivelò la somma con la quale aveva stimato il valore degli otto pesci. Disse soltanto: “Non sapete che non posso dirvelo? Prima devo spellarli! E se qualcosa va storto? Allora fatemi a pezzetti! – No, no, lo dirò solo al capitano. Di persona!”

Gettò un altro sguardo sui pesci prima di far cadere il panno come un illusionista sul secchio di plastica.

 

Spellare, l’arte di spellare il pipistrello di mare dal naso corto, un’arte posseduta da meno di dieci uomini in tutto il mondo, Robert Rösch aveva preparato tutto quello che serviva per la spellatura. Se ne stava in piedi nell’angolo predisposto della sala per la lavorazione numero quattro, e mentre gli altri lavoratori decapitavano i tonni, li diliscavano, li sventravano e li mettevano a congelare, Robert Rösch guardava il più grosso dei pipistrelli di mare dal naso corto che aveva tirato fuori dal secchio ed aveva appoggiato sul tavolo. Quello apriva e chiudeva indolente gli occhi, spalancava la bocca, si muoveva, senza fare altro. Robert Rösch aspettava. Accadde al momento giusto, Rösch non poteva essere precipitoso, ma non doveva neppure attendere troppo a lungo. “Se si potesse sprofondare nel silenzio si avrebbe la necessaria calma per fare ciò che va fatto”, pensò togliendosi il guanto dalla mano sinistra.

Gli occhi della bestia erano chiusi, lo specialista pose lentamente due punte delle dita sulle palpebre del pesce e ne percepì a lungo le pulsazioni.

Poi ci fu il tremito negli occhi del pesce, quando egli aumentò appena la pressione. Vide gli aculei velenosi sollevarsi e il dorso inarcarsi un poco. Sorridendo tirò via le dita.

Qualcosa lo distrasse e questo allo specialista di pipistrelli di mare dal naso corto non piacque. Si trattava di pensieri distinti che non gli piacevano. Si trattava della questione se quelli sarebbero stati i suoi ultimi pipistrelli di mare oppure se avrebbe resistito su quell’isola d’acciaio alla virilità in estinzione.

Rösch guardò l’esemplare meraviglioso che aveva di fronte, si concentrò e attese l’ultima scintilla di vita. Solo nell’ultimo momento vitale la cute spigolosa e ruvida non si irrigidiva, solo in quell’unico momento non si rizzava la serie degli aculei. Solo nel morire la cute strappata rimaneva molle e dunque poteva giungere ad avere un enorme valore di mercato. Rösch dovette prendere amorevolmente la cute all’animale quasi morto, così che si conservasse il colore senza pari della parte interna della stessa cute. Era questo il grande mistero che lui non avrebbe mai svelato ad alcuno.

Un giorno avrebbe forse dovuto svenderlo a qualcuno? Forse al giovane Ismael? Ma per quanto tempo ancora sarebbero esistiti i pescatori d’altura? Sarebbe stato abbastanza per il giovane Ismael?         

Quando le forze del pesce erano quasi del tutto esaurite, quando la morte, con il suo colore grigiastro, non si era ancora posata sulla cute, allora per quel pesce era giunto l’ultimo istante di vita.

Robert Rösch l’aveva scoperto tre anni prima solo casualmente. Allora aveva tagliato sopra gli occhi del pipistrello di mare troppo presto e così aveva ottenuto quel risultato fondamentale. Nessun tremore della cute, nessun inalberarsi dei muscoli dorsali, il pesce non doveva più difendersi, neppure dalla morte. Robert Rösch annuì. Il pipistrello di mare dal naso corto, quasi in trance mortale, doveva lasciare spellare il suo corpo moribondo.

Volontariamente.

Allora Robert Rösch chiuse gli occhi e tolse con la mani nude la ruvida cute, curvò la cartilagine con gli aculei, tagliò sopra la testa, palpò le palpebre, sotto le quali non c’era più alcun tremito. Come no! Continuava a fremere! Che razza di bestia! Rösch provò riguardo, rispetto nei suoi confronti. Una così lunga agonia non l’aveva ancora sperimentata. Dove forse liberare quella bestia? I suoi colleghi l’avrebbero linciato? Avevano verificato quanti fossero i pipistrelli di mare, dunque anche le cuti dovevano essere otto. Ognuno di loro voleva una parte dell’inatteso guadagno.

Non c’era nulla da fare!

Aveva tuttavia la fortuna di possedere delle sottili mani materne. Osservò brevemente gli altri uomini, che dovevano lavorare a cottimo con le loro mani grandi e rattrappite, che dovevano lavorare con fatica. Rösch si guardò attorno, nessuno lo stava osservando. Annuì alla bestia ed afferrò con la mano il corto coltello per incidere che Haudegen aveva ancora una volta arrotato.         

Rösch fece due brevi tagli al di sopra degli occhi della bestia e sorridendo osservò come quella diede un unico colpo con la coda. Era quello il momento giusto! Certo!  Insieme alla cute portò via l’anima della bestia.

Lentamente girò intorno agli occhi con la punta del coltello, tagliò intorno alla testa e poi rimise via l’attrezzo.

Con entrambe le punte delle dita penetrò dal davanti lateralmente tra la cute e la carne. Allungò la cute, gli aculei se ne stavano rigidi nell’aria. Il veleno stillò da quelli. Con pazienza Rösch allungò sempre più la cute, girando più volte attorno al corpo del pesce, ed inizialmente era giunto fin sotto la cute con i soli polpastrelli, e in seguito le dita si ritrovarono subito per intero all’interno del pesce. Rösch continuò a tirare, era giunto ormai alle intestina.

Percepì il meccanico sussultare della carne e vide il veleno colare dalla cute. Alla fine aveva separato il corpo dalla cute. Fece ancora un giro di prova, ma non trovò più resistenza.

Lo specialista Robert Rösch riaprì gli occhi e tirò fuori le dita.

Nelle sue mani quasi non c’era sangue. Sollevò la bestia dalla coda, gettò un sottile getto d’acqua pulita sul tavolo di lavoro e sul corpo della bestia mentre il veleno del pesce colava, e con brevi movimenti della mano iniziò a staccare il cadavere dalla cute, partendo dalla coda.

Poco dopo la pesante testa cadde insieme all’intero corpo sulla superficie del tavolo. Rösch tenne la preziosa cute davanti a sé, all’altezza del petto, e squadrò la sua opera. In nessun punto un’incisione o una puntura. Era del tutto integra e completamente spoglia.

Lui la sollevò un poco, la rivoltò nel margine e si dilettò con il color porpora della parte interiore della cute. “Più bella di qualsiasi mantello papale”, pensò e sentì l’odore del profumo d’amber, che lo stordiva.

Che razza di regalo della natura! Nascosto per millenni e trovato solo casualmente. A Robert Rösch venne la pelle d’oca, prima di appendere l’involucro ad una staffa sopra di sé e di fischiare brevemente per tre volte nel salone.

Tutti gli uomini si voltarono all’istante verso di lui, gridarono entusiasti e batterono contenti sulle tese in metallo dei loro nastri trasportatori, dai quali colava il sangue dei tonni. Gli uomini si tolsero i guanti, mostrarono a Rösch i pollici sollevati e si rimisero al lavoro. Continuarono a ridere per minuti, ognuno di loro da quel momento si era arricchito di alcune decine di migliaia di dollari.

Rösch prese dal secchio un altro pipistrello di mare dal naso corto e lo pose sul tavolo di lavoro. Il cadavere spellato, ancora tremante e con il muso intatto ancora boccheggiante alla ricerca d’aria lo gettò sul pavimento in metallo.

Quella scena disgustosa l’aveva già sognata più volte. Un pesce spellato ma per un paio di minuti ancora in vita,  un pesce con la bocca aperta e con gli occhi senza palpebre: allo specialista di pipistrelli di mare dal muso corto questa visione era già apparsa spesso in sogno.

Qualche volta addirittura parlando.

E quelle frasi non erano mai state accusatorie, piuttosto sempre di consiglio. Mentre osservava il pipistrello di mare più piccolo, che era appena diventato pronto per la riproduzione, Rösch rifletté su quanto fosse diventato esperto, e si ricordò quanto erano stati utili i consigli che aveva ricevuto in sogno dalle anime degli animali spellati. Aveva ubbidito ad alcuni di quei consigli fino al punto in cui era riuscito a portarli con sé dal mondo dei sogni. Che cosa gli consigliavano quelle anime? Potevano aiutarlo in quella che fino a quel momento risultava la sue decisione più difficile? Continuare a navigare o fare il piscicoltore? Robert Rösch scoppiò in una risata, all’improvviso poté immaginarsi molto bene quale sarebbe stato il loro consiglio. Sarebbe dovuto rimanere in terraferma, avrebbe dovuto assolutamente farsi ingaggiare da una piscifattoria, in ogni caso avrebbe dovuto lasciare in pace il mare e i pesci.

“Certo, certo”, disse a voce bassa, “questo vi farebbe piacere!”

Rigettò il pesce nel secchio, poiché era risuonato il segnale della pausa pranzo. Prese il secchio e la prima cute con sé e li portò entrambi al capitano, il quale li infilò subito nel minibar, che richiuse con più giri di chiave.

“Perché i francesi del sud pagano così tanto per un cencio del genere?”, chiese il comandante della Saudade, senza attendersi tuttavia una risposta.

“Non ne ho idea”, disse Robert: “E neppure voglio saperlo. O ne fanno munizioni i baschi, oppure qualcuno di Montpellier lo mischia al suo giocattolo diabolico”.

“Quale gioco diabolico?”

“Uno dei loro poeti l’ha chiamato ‘il terzo occhio dei poeti’”.

“Intendi l’assenzio!”, disse il comandante e, prima che il suo specialista portasse la paratia della cabina, ricordò di aver sentito dire che la porpora verrebbe utilizzata per i missili spaziali. Lui voleva assolutamente che quel Rösch restasse a bordo! Finché lui si trovava su di un trawler sarebbe dovuto rimanere anche Robert Rösch. Il capitano decise di fare al collaboratore un contratto a lunga scadenza. Come aveva fatto a non pensarci prima! Nel salutarsi diede un colpo amichevole sulla spalla di Robert, richiuse dietro di sé la paratia per mettersi subito alla scrivania e buttare giù un contratto, mentre Robert si diresse verso il salone per prendere la sua porzione per il pranzo. Venne accolto lì con una canzoncina. Le quasi settanta ugole maschili della guardia di babordo gracchiarono: “Staccane ancora una, ancora una, ancora una, capitano: aha!”

 

Dunque doveva diventare piscicoltore? Con quella canzoncina che i suoi colleghi gli avevano presentato tre ora prima? Robert Rösch se ne stava di nuovo in piedi davanti al suo lucido tavolino in metallo nella sala di lavorazione numero quattro ed osservava l’ultimo pipistrello di mare dal naso corto.

Le altre cuti erano appese sopra la sua testa, avvolte nella nuvola di freddo della sala.

Per prendere la sua decisione aveva ancora cinque mesi di tempo, erano in mare solo da un paio d’ore, ma Rösch credette che quanto prima si fosse deciso tanto meglio sarebbe stato per tutti.

Poteva farlo? Come avrebbe dovuto procedere? Dal tempo in cui era stato un eterno studente di sociologia sapeva che avrebbe dovuto preparare un inventario.

Di fronte a problemi un inventario era certamente utile, ma non significava scartare il mare rispetto alla moglie? O la moglie rispetto al mare?

E proprio questo era ciò che lui non poteva fare a nessuno di quei due! Non poteva procedere con una simile durezza di cuore, trasformando sentimenti in pensieri, per poi, nel caso, eliminarli. Quest’eterno circolo vizioso! A causa di riflessioni come questa non aveva mai concluso la sua tesi di laurea.

Naturalmente molti elementi erano ragionevolmente a favore della scelta di rimanere a terra. In questo modo non c’era quantomeno il pericolo di diventare folle come il vetusto Richard, o confusionario come cantanti d’opera. In questo modo Robert non avrebbe dovuto provare le ultime torrette della Saudade e non avrebbe avuto bisogno di lavorare gli ultimi fori. Sarebbe sbarcato ed avrebbe potuto osservare dall’esterno la fine della pesca internazionale d’altura, poiché gli oceani sarebbero stati presto in ogni caso depredati di tutto il pesce. Così lui sarebbe diventato un piscicoltore mentre gli altri pescatori sarebbero rimasti disoccupati, così avrebbe avuto Mathilde al suo fianco, ogni giorno, ogni ora. Durante lunghe serate accanto al caminetto avrebbero potuto finalmente macerare la sporcizia dell’infanzia e della giovinezza presente nelle loro anime, spazzandola fuori dalla porta. Fino alla costa a picco! Il resto lo avrebbe fatto il vento del mar Baltico, sul quale si poteva fare affidamento, Robert ne era certo. Tra tre anni ne avrebbe avuti quaranta, ma una vita come quella era davvero auspicabile? Per un tipaccio come lui? Per un uomo di vecchio stampo? Oppure una vita del genere sarebbe stata pari all’esistenza di un amputato? Di un uomo di mare al cui corpo vivo sia stata sottratta l’anima, quella spessa e attendibile crosta salina che nessuna psicologia da tavola da cucina poteva attraversare?

Robert Rösch stava tastando e gli occhi dell’ultimo pipistrello di mare si stavano muovendo ancora in maniera troppo convulsa.

“Il mare è l’anima”, pensò l’addetto al trattamento, “E l’anima è il mare”.

Ovviamente molti aspetti sentimentali parlavano a favore della sua permanenza sulla Saudade. Proprio il non doversi imbarcare nell’acquacoltura è il motivo fondamentale. Sulla Saudade gli uomini conoscevano il suo valore. Questo sì che era un benefit vitale, un vero benefit vitale! Lì poteva dare sfogo ai suoi sogni giovanili di un mare selvaggio. Non doveva fingere, poteva restare schietto. Certo, maledizione, aveva il lusso di possedere due domicili, uno dei quali era irremovibilmente in movimento. Era circondato da colleghi che avevano fiducia in lui. E questo era un onore, un grande onore. Lì doveva essere tutt’altra cosa che un adulto. Aveva la libertà di essere un reprobo giovane tra giovani, un pirata tra pirati, un Peter Pan, invincibile, almeno finché se ne sarebbe restato a bordo del trawler. Non doveva essere autonomo, non aveva bisogno di assumere alcuna responsabilità per altri. Il suo unico compito era spellare e trattare. Maledizione, nonostante il duro lavoro si trattava di una vita comoda. Fino a quel momento non era stato costretto a prendere una decisione, ma ora era stato messo all’angolo. Aveva portato a bordo un maledetto problema privato, sebbene loro l’avessero messo continuamente in guardia: lascia la tua merda a casa, non portartela fino alla scaletta d’imbarco, altrimenti ci finiamo tutti sopra!

Lui però aveva contravvenuto. Che moglie maledettamente furba, aveva! Raccontargli ancora una volta, prima della partenza, delle piscifattorie, questo era stato dannatamente saggio, così lui non avrebbe potuto rifiutare subito.

Ed ora?

Ora lagnarsi non serviva a nulla. Stava andando come doveva andare. L’addetto al trattamento Robert Rösch cercò di tenere lontane da sé le questioni di cuore, poiché non voleva in alcun caso sapere di quello stupido ivetario: accompagnare l’amore per Mathilde e l’amore per il mare con un segno di più o di meno.

Così l’unica cosa che ricordasse abbastanza bene dalle lezioni di fisica era che un più con un più davano un grosso meno. E comunque quella cosa non l’aveva mai capita.

“Ancora maledizione!”, disse Robert a quella che per il momento era la sua ultima vittima: “Che razza di tempi erano quelli di cui racconta spesso il vetusto Richard. Quella coppia dei radiotelegrafisti sulla Jungen Welt che lavoravano insieme nella sala radio. Questa sarebbe la soluzione! Allora, in quella DDR, quando le donne lavoravano ai nastri trasportatori e gli uomini sul ponte di coperta. Loro non avevano mai dovuto prendere grosse decisioni. Semplicemente, erano giunte a due a due a bordo. – Ti stai lagnando di nuovo, calabraghe! Tenerone! Pappamolle! Mollaccione! Formaggio da spalmare!”

Inorridì al pensiero di doversi porre tutti i giorni quelle domande senza poter decidere per cinque lunghi mesi. Ma c’era una terza possibilità!

Robert Rösch si tolse nuovamente un guanto, fece una breve verifica e considerò arrivato il momento giusto per procedere alla spellatura. Ma quando fece i tagli rimase sorpreso. Il pipistrello di mare non si muoveva. Era già morto! Gli aculei non si rizzavano. Robert Rösch procedette comunque con la spellatura, ma non fu sorpreso dal risultato: il lato interno della cute era nero come la pece. E puzzava anche come la pece.

Aveva appena buttato al vento alcune centinaia di migliaia di dollari. La ricompensa creduta certa dei suoi colleghi.

A causa di problemi personali!

Robert Rösch stava giusto per battere con la mano nuda sulla cute ispida. Fissò il metallo riflettente del tavolo di lavoro.

Era un segno?

Ora sperava perfino nei segni? Doveva andare forse nella sala della preghiera? Lo scrigno con tre lati, ad uno dei quali era appesa la croce, in quel momento doveva essere vuoto. Sul secondo lato c’era la stella e sul terzo la mezzaluna. Haudegen aveva montato l’intero scrigno su materiale rotante, così i musulmani potevano pregare sempre in direzione della Mecca, indipendentemente dalla direzione di navigazione. Robert era indeciso e pensò: “No, dovrò decidere da solo. Questa decisione devo prenderla da solo”.

Robert Rösch si tolse anche l’altro guanto, gettò l’inutile cute e il cadavere sul pavimento della sala ed uscì senza dire una parola. Se ne andò in giro per la nave a mo’ di fantasma e non udì la sollecitazione a presentarsi che arrivava dai numerosi altoparlanti di bordo.

In ogni angolo del trawler risuonava la richiesta che Rösch si presentasse subito a rapporto, e tutti i centosettantasei membri dell’equipaggio ne capirono il significato: Rösch, quell’incapace, s’è levato dal cazzo! Addio bei dollari!

Poi però il reiterato ordine del giovane terzo ufficiale s’interruppe a metà e ovunque sulla nave gli uomini aggrottarono per un attimo la fronte. Senza farsene tuttavia premura e continuando a lavorare, mentre Rösch stava salendo per la paratia esterna per arrivare sul ponte di coperta.

Il pirata ritardato nella crescita fu di fronte a lui così all’improvviso che Robert, sorpreso, scoppiò a ridere, prima che per un calcio all’addome gli venisse meno l’aria.