Leif Randt, D

Nato nel 1983 a Francoforte sul Meno, vive a Berlino. Studi umanistici a Gießen, laurea a Hildesheim, Erasmus a Londra.

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Informazioni sull' autore

 

 

SCHIMMERNDER

DUNST ÜBER

COBYCOUNTY

 

© 2011 Leif Randt 

 

Traduzione: Vito Punzi

 

 

Vapore luccicante su CobyCounty

 

Estratto

 

"Quando allora ci mettemmo in cammino per trasferirci nella primavera a CobyCounty questo sembrò accadere per un umore leggermente alticcio. Quell’umore ci sostiene già da oltre quarant’anni attraverso una vita fantastica."

*Madre Endersson, 65, esperta di marketing ed enfasi

 

"Una crisi della locale industria della cosmesi e della cultura è sempre possibile, talvolta è perfino auspicata."

*Jerome Coleman, +, commerciante e visionario

 

"Io amo questa città."

*Wesley Alec Prince, 26, storico dell’arte

 

Poiché è il giorno del sessantacinquesimo compleanno di mia madre, sulla terrazza del tetto ci sono in piedi anziani con impermeabili beige. In cielo si sono accastellate le nubi, piove appena. Mia madre pronuncia un paio di parole di saluto ed indica verso il bar. Lì ci sono io e faccio un cenno. Per me non è facile individuare quali, tra gli ospiti, siano amici di mia madre e quali normali ospiti del luogo di cura. La maggior parte di loro fa su di me un effetto di simpatia, poiché gli aperitivi che si sono bevuti con grande velocità hanno reso i loro occhi subito luccicanti. A questa gente appaio ancora come un giovane. In realtà ho terminato i miei studi ormai da sette mesi, guadagno già soldi e porto una camicia di grande qualità. L’albergo appartiene al compagno di mia madre, si chiama Tom O’Brian e passeggia rilassato sul terrazzo di sua proprietà. Tom ha solo cinquantasette anni. Talvolta passa davanti al bar e fa battute: "Allora Wim, beviamo insieme un succo di mela con wodka?" Succo di mela con wodka: si tratta di una gag frequente tra noi due, da quando sette anni fa dovetti vomitare nella lobby. Cerco sotto il banco e passo a Tom una birra presa dal frigorifero. Lui ha spalle strette, porta una giacca di velluto a coste sottili, jeans chiari e stivali di camoscio. Prima che lui si allontani spettegoliamo un po’, così come facevo alla Highschool con i miei amici più stretti. In forma plateale e un po’ contratta. La torre dell’albergo Tom l’ha costruita undici anni fa e sta con mia madre da sette anni, lei elabora idee di marketing in grado di attirare l’interesse di vari fasci d’età. Occasionalmente, in primavera, prenotano qui perfino alcuni dei miei amici. E questo non mi crea alcun problema, perché io amo Tom O’Brian, la torre dell’albergo e mia madre. Nel suo stretto tailleur a pantalone e con il classico taglio corto dei suoi capelli lei appare leggermente algida e molto elegante. Durante la prima parte della serata le chiedo quante siano, tra quelle che si trovano sul tetto, le persone che lei ha già avuto occasione di conoscere personalmente. Lei si guarda intorno e dice: "Il trentacinque per cento". Mia madre vive da oltre quarant’anni a CobyCounty, credo che lei sia stata sempre sincera con se stessa. Le riempio un bicchiere di Pepsicola. La maggior parte dei suoi ospiti chiede bevande miscelate leggere e mi pare che gli ospiti più anziani di CobyCounty bevano di nuovo allo stesso modo di coloro che s’iniziano all’alcool a CobyCounty. Come se lì si stesse chiudendo un cerchio e come se nella nostra città i diversi gruppi generazionali fossero amichevolmente intessuti tra loro. D’altra parte non posso descrivere con buona coscienza i presenti come "persone più vecchie", piuttosto si tratta di "donne e uomini vitali nei loro tardi sessant’anni". Molti di loro sono arrivati probabilmente ventenni a CobyCounty per fondare anzitutto imprese cinematografiche o case editrici, e in seguito per aprire attività di piccola ristorazione. All’improvviso penso che questi adulti ben vestiti che ora mi ritrovo attorno qui sul tetto, con i loro occhi vitrei, una volta sono stati giovani dell’avanguardia. Quando la pioggerella si condensa e si trasforma in rovescio violento molti di loro alzano le braccia al cielo e cominciano a ballare. Si muovono come se sotto la pioggia ricordassero tutti contemporaneamente le registrazioni su videocamera dei loro primi balli. A mia madre corrono rivoli d’acqua che scendono dai suoi corti capelli, ride e chiama la gente che si trova all’interno dell’albergo. Il bar dietro il cui banco mi trovo è coperto da un telone, sento la pioggia tambureggiare lì sopra e metto le bottiglie di vino bianco nel frigorifero. La pioggia comincia a risuonare rapidamente come fosse grandine ed il telone si agita nella tempesta. Quando porto il contenitore termico all’interno dell’albergo sul tetto sono rimasti a ballare cinque anziani completamente bagnati. Faccio loro un cenno. Temporali così violenti il tredici febbraio sono del tutto normali, a questi mia madre è ben preparata.

Nelle suite del nono piano vengono tolti i vestiti bagnati e si fanno bagni caldi. Alcuni degli ospiti sicuramente si divertono a far turbinare la schiuma in tutto il bagno. Io me ne sto in piedi con le linde piante dei piedi sulle calde mattonelle della suite 914. E’ tutto pronto, la vasca è stata riempita d’acqua fumante, sul suo bordo luccica un secchiello per lo spumante. All’improvviso qualcuno apre la porta. Entrano Joline Caulfield, un tempo professoressa di economia politica, e il cugino di mia madre, ubriaco, mi salutano cordialmente e si tolgono i loro accappatoi. Faccio un nodo al laccio dei mio costume da bagno e tiro dentro la mia appena visibile pancetta. L’allenato cugino di mia madre, il cui nome ho dimenticato, sul petto ha bianchi capelli che esibisce con la più grande naturalezza. Entra per primo nella vasca. Questa, nonostante la sua forma ovale, per tre persone è sufficientemente grande. "O forse non ti sta bene farlo con noi?" Non ho mai seguito i corsi di Joline Caulfield, ma ne ho sentito parlare sempre bene. Dico:  "Ma no". Quando poco dopo siamo coperti fino alle spalle dalla schiuma e le nostre gambe, sotto, rischiano in ogni istante di toccarsi, ci passiamo lo spumante. Io siedo nel lato di fronte, a sinistra ho la Caulfield, a destra il cugino, non sarebbe stato male se ci fossero stati dei bicchieri. Dagli amplificatori che si trovano sul soffitto arriva il saluto di mia madre. Si augura che tutti si trovino a loro agio, si siano riscaldati ed invita tutti al buffet, previsto più tardi nella lobby. Joline Caulfield si beve un lungo sorso di spumante e chiede quali siano i miei progetti per la primavera. Osservo le nere bretelle del suo bikini. I residenti più anziani di CobyCounty calcolano sempre che la primavera per noi più giovani sia accompagnata da nuove, plasmanti definizioni. Come se le settimane comprese tra marzo e maggio ci trasformassero in figure completamente eteree. Probabilmente pensano questo perché lo leggono in varie riviste culturali e di business. A proposito della primavera a CobyCounty esistono di regola reportage che presentano attacchi scenografici del tipo: "Verso le dieci del mattino la giovane coppia di Bristol UK non è ancora stanca di ballare sulla sabbia". E a queste frasi seguono sempre statistiche che risultano incredibili perfino per i residenti del posto, e poi di nuovo descrizioni che s’impastano in maniera singolare con le impressioni di ciascuno.

Per non diventare, in quel bagno di schiuma, la superficie di proiezione per una ex professoressa di economia politica ed un cugino allenato azzardo che forse nella primavera che sta per arrivare partirò per un viaggio: "Mi interessa vedere come si vive la primavera in altre località". Dopo questo non dico più nulla ed osservo i due sedere pensierosi in mezzo alla schiuma. Ora probabilmente si stanno chiedendo se io sono solo un giovane particolarmente ritardato oppure se sono loro ad avere immagini del tutto sbagliate della gioventù odierna. In realtà, ovviamente, non ho affatto programmato di partirmene in primavera, in verità vado incontro alla primavera a CobyCounty esattamente come tutti gli altri. Joline Caulfield sorregge la bottiglia di spumante nel greve vapore del bagno. La bottiglia all’esterno è appannata, l’afferro, bevo e mi meraviglio che ci sia ancora dello spumante. Poi il cugino rompe il silenzio: "Dunque dovremmo avvicinarci subito al buffet, non credete?" Quando si solleva dalla vasca la peluria del suo petto pende in forma di strisce di color bianco scuro. Se le toglie asciugandosi con un asciugamano, poi batte le mani. In forma quasi sincronizzata anche Miss Caulfield ed io usciamo dall’acqua ancora calda.

Al buffet incontro mia madre, ha in mano la sua prossima Pepsicola ed ha i capelli appena asciugati. Mi chiede con chi abbia dovuto fare il bagno. Le racconto com’è andata e preciso che non c’è stato nessun problema, mia madre fa un ghigno e mi passa una mano sulla testa: "Molti non sono ancora ritornati dai bagni", dice lei, "forse ne conseguiranno un paio di romanze". Quando faccio un cenno serioso mia madre si mette a ridere: "Ah Wim, quand’è che la smetterai di guardare certe cose in maniera così angusta?" Faccio un altro cenno, espiro e mi verso nel piatto profondo un po’ di zuppa di crema di finocchi. Prima di allontanarsi mia madre mi stringe per istante a sé e dice: "Presto sarà primavera!". Scrivo a Wesley un sms col quale comunico che l’ambiente di mia madre si rallegra della primavera quasi quanto noi. A questo proposito non posso sostenere che le nostre madri appartengono allo stesso ambiente, poiché la madre di Wesley ha lasciato CobyCounty un anno e mezzo fa come neo-spiritualista. Suo zio, un influente webdesigner che tuttavia, per motivi di sottostima, vive in un appartamento più piccolo di quello di suo figlio, non gliel’ha voluto impedire. Wesley non si stancherà mai di ricordare che lui ama CobyCounty. Vuole prendere le ferie sicuramente tra l’inizio di marzo e la fine di aprile, per cercare di nuovo in maniera diretta il contatto con i giovani turisti provenienti dalle metropoli del mondo occidentale. Wesley cercherebbe anche il contatto con turisti di altri contesti culturali, ma di questi non ce n’è mai uno che si diriga mai verso CobyCounty. Almeno questa è la mia impressione. D’altra parte non posso dire con certezza se effettivamente saprei riconoscere turisti di altri contesti culturali. Dal punto di vista puramente etnico CobyCounty è enormemente eterogenea. La mia carnagione per esempio è piuttosto bianca, ma quella di Wesley è piuttosto ocra. Tuttavia si accetterebbe subito il fatto che noi guardiamo entrambi verso un passato comune, in fondo le giubbe del nostro college sono rattoppate con le stesse grandi lettere. Abbiamo frequentato tutti e due la CobyCounty School of Arts and Economics. Wesley si era iscritto a "Storia dell’arte dal 1995", ed il mio corso di studi si chiamava "Nuovo marketing internazionale di letteratura". Oggi abbiamo lavori che forse non potrebbero essere pagati così bene in nessuna altra città del mondo. In quanto agente per la letteratura giovanile, i miei clienti in parte sono ancora minorenni, sottolineo gli errori presenti nei loro testi e successivamente tratto con gli editori gli anticipi e le royalties. I testi dei miei autori teenager sono pieni di impeto linguistico e mostrano a noi, giovani un poco più cresciuti, come viene percepita oggi la vita dai ragazzi. La quotidianità della scuola e delle vacanze a loro sembra apparire ormai come un delirio selvaggio, esistenziale, non più come commedia leggermente romantica, che Wesley ed io dovevamo ancora sopportare. Come teenager siamo partiti dal fatto che una vita consiste di piccoli episodi in sé chiusi. Poi ad un certo punto ci siamo innamorati per la prima volta e sono arrivate scene voluttuose di sbaciucchiamento su prati ed alture. In seguito abbiamo subito tragiche separazioni ed abbiamo festeggiato per dispetto feste dissolute sulla spiaggia. Il principio era che questo processo si ripeteva regolarmente: sensualità, separazione, festa da ballo.

Durante la notte del compleanno avvengono diversi colloqui con persone che già mi conoscevano quando ancora ero un ragazzo in giacca di jeans. Quanto divento alticcio tanto più mi toccano le loro espressioni di lode. Prima devo essere stato sempre più pallido. Ora dovrei ridere più di frequente e questo mi donerebbe, così come mi donerebbe la mia camicia. Mi si chiede se al momento ho una relazione, una compagna o un compagno, ed io racconto che Carla oggi purtroppo è malata ed è distesa nel mio letto con una borsa d’acqua calda. In verità Carla è distesa nel suo letto e senza borsa d’acqua calda e abbiamo pensato di non vederci finché non le sarà passata l’infreddatura. Ci scriviamo, perché non ci piace parlare al telefono. All’apparecchio la mia voce suona stanca e nervosa, sebbene io non sia né stanco né nervoso. Mi piace il modo che ha Carla di trovare per iscritto sempre nuove e semplici metafore per indicare il fatto che le manco. Ad un certo punto nella lobby comincio ad avere colloqui che in una condizione spassionata mi risulterebbero ripugnanti. Menziono il fatto che il giorno dopo, già di mattina presto, dovrò andare in agenzia e quando prendo commiato vengo più volte abbracciato.

Il giorno di San Valentino di ogni anno nel cinema Promenade ci sono le prime di film. Quest’anno si tratta di una versione allungata e leggermente colorata di "Vapore luccicante su CobyCounty", dunque non si tratta di una vera e propria prima, tuttavia i biglietti già da settimane risultano essere duramente contesi. Sette sono stati spediti in agenzia, cinque se li è presi per sé il mio capo, Calvin Van Persy, quindi ne sono rimasti due. A Carla non ho neppure chiesto. Anzitutto è raffreddata e poi lei sa che le prime dei film nel giorno di San Valentino per me e Wesley rappresentano una lunga tradizione. "Vapore luccicante su CobyCounty" è un film documentario critico dedicato alla vita facile nella nostra città. Con questo film una giovane regista francese ha vinto due anni fa il premio speciale al Festival di Cannes. Questo significa che lei il premio non lo ha meritato in alcun modo, tuttavia, da quando il film viene programmato nei cinema europei, in primavera arrivano ancor più turisti.

Quando Wesley viene a prendermi in agenzia è ancora troppo presto, la prima inizierà solo tra un paio d’ore, così metto su il caffé e preparo un piatto di frutta sul vecchio tavolo in legno di quercia della cucina. Verso il caffé in tazze ornate con volti di animali. Volti d’animali: si tratta di una battuta scherzosa tra me e Wesley: "Di che tavolo antico si tratta?" chiede Wesley e tocca il legno di  quercia. Ed io dico:  "Calvin Van Persy l’ha portato dalla casa di sua nonna. Il tavolo deve dare l’anima alla cucina degli agenti, che hanno bisogno anche di buoni testi". Wesley fa un ghigno ed io ribatto ugualmente con un ghigno. Nella stampa internazionale circola da anni il giudizio secondo il quale i testi provenienti da CobyCounty sono stilisticamente perfetti, che tuttavia a loro manchi il riferimento ai bisogni esistenziali. Uno dei miei compiti più importanti lo vedo nell’indicare ai giovani autori le menzogne dei media digitali e di quelli a stampa. Sul sito web di Le Monde è stato scritto di recente che il mercato non sopporta più alcun libro plasmato a memoria che sia dedicato ai party in spiaggia. In verità la gente vuole sapere molto di più sui bei tempi di CobyCounty, e questo lo dimostrano non solo le buone vendite, piuttosto si tratta di un dato che si spiega da solo: chi non vive in questo luogo vuole immaginarsi una vita qui, e tutti gli altri vogliono adattare le loro proprie esperienze a CobyCounty alle esperienze dei testi.

All’inizio del film all’interno del cinema Promenade tutti applaudono. Sullo schermo appare anzitutto la nostra spiaggia, in una giornata d’un azzurro ghiaccio, probabilmente in aprile. Si sente solo il rumore del mare. Segue una sequenza scarna in un finto carnevale della zona industriale. Ragazze e ragazzi, sui vent’anni, che se ne stanno distesi ed abbracciati, che ballano e gridano di gioia.  "Lì. Sono stato lì, hai visto?" Ancora una volta non ho visto Wesley, ma faccio un cenno. Parti del pubblico ripetono a voce alta: "Sogniamo di vendere un giorno gelati cremosi sulla Coleman-Hills". Poi ridono tutti. Quando dopo ottantadue minuti sfilano sullo schermo i titoli di coda e mi vengono in mente intimamente i nomi di molti statisti, ho la sensazione che in tutta la sala domini una calda complicità.

Nel foyer del cinema guardo subito il mio cellulare, nessun messaggio da Carla. Lei è sempre nella condizione di sorprendere. Wesley dice: "Nel momento in cui il film mostra esclusivamente immagini di CobyCounty esso rimanda in forma davvero sottile al mondo esterno". Lui porta la sua cannuccia alla bocca e dal suo longdrink tira una gran quantità di bevanda: "Ed è proprio per questo che il film è un successo internazionale". Al momento non vedo alcun motivo per contraddire Wesley. Tuttavia presto è del tutto brillo e nel bar si lascia invischiare in scialbe discussioni sul film. Quando lascio il foyer Wesley si sta intrattenendo con un tipo che dà l’impressione di essere uno statunitense e che risulta essere piuttosto tirato.

Lungo la strada di casa c’è un forte temporale. Coloro che sono stati alla prima chiamano a sé i taxi, il vento scompiglia i loro capelli e scaraventa fuori dai bidoni dell’immondizia lattine di bibite. Cammino a ridosso dei muri degli edifici e quando attraverso l’isola spartitraffico davanti al mio appartamento temo che la scultura che rappresenta uno shampoo lì installata possa essere staccata dal suo supporto e possa abbattersi su di me. A questo proposito so sostanzialmente che le sculture di Coleman&Aura, con i loro nuclei in materiale espanso e con i sottili rivestimenti in cartapesta non sono pesanti abbastanza e dunque non sono sicuri. L’enorme bottiglia di shampoo si piega elasticamente alle sollecitazioni del vento, tuttavia è legata alla sua base a prova di bomba.

Dopo poche ore di sonno me ne sto con i soli boxer in piedi sul balcone. Giovani donne e giovani uomini in uniforme chiara perlustrano la città e raccattano ciò che la tempesta ha distribuito lungo le strade. Spostano davanti a sé contenitori dell’immondizia di colore blu ed usano grosse e colorate tenaglie a griffa. L’asfalto brilla sotto il sole del mattino. Solo quando è tardi mi cade lo sguardo sull’isola spartitraffico, poi resto per un attimo immobile lì, tre piani sopra questa nuova lacuna nell’immagine della strada. La scultura dev’essere stata dunque smontata secondo un piano prestabilito la mattina presto dalla donne e dagli uomini in uniforme e probabilmente già nel corso della giornata verrà eretta una nuova installazione. Devo confessarmi tuttavia che mi deprime lo sguardo sull’isola spartitraffico diventata ora inagibile e che forse su questo non ho imparato ancora nulla. Quando da piccolo sedevo nel sedile posteriore dell’auto dei miei genitori mi rattristava se nell’immagine della città facevano la comparsa nuovi manifesti, perché quelli avevano fatto scomparire i vecchi. I miei genitori sostenevano che quello era un tipico riflesso infantile, uno sguardo sull’ambiente che anela chiare strutture. Oggi temo di essere stato un malinconico fin da bambino. Nei manifesti pubblicitari che cambiavano continuamente per me andava letto il trascorrere del tempo, il fatto che i giorni passano e non ritornano. Si trattava di una malinconia semplice, nella quale, seduto sul sedile posteriore, mi assopivo, e che mi faceva stare bene, uno stato d’animo che non esigeva da me alcuna conseguenza, che probabilmente era innocuo, ma anche improduttivo e paralizzante. Ed ora si presenta un istante simile  a quello, balena di nuovo quell’umore, per il motivo di sempre. Una delle lavoratrici là sotto guarda dalla strada verso l’alto, per un istante i nostri sguardi s’incontrano, poi io scompaio nel soggiorno. Il mio cellulare sta lampeggiando. Carla mi fa sapere tramite sms che il raffreddore le è passato. Chiede se sono sopravvissuto bene alla ‘nostra tempesta’ e mi invita ad andare da lei nel primo pomeriggio.

Quando Carla mi apre la porta ha indosso un paio di pantaloni corti ed una camicia con una sottile abbottonatura e molto aperta sul petto. Ciò che allora mi ha colpito prima di qualsiasi altra cosa è stata la sua pelle, perfetta e lucida come nylon liscio. Perché, ad essere sincero, io m’innamoro solo di un certo tipo di donne: di quelle giovanili e magre, ben vestite, e che appaiono in qualche modo benestanti. E questo, sebbene già gli insegnanti della scuola primaria c’abbiano consigliato di non cadere nelle attribuzioni esteriori e tenere conto piuttosto dei veri caratteri, indipendentemente dalla classe sociale, dalla razza e dal gender. I nostri insegnanti non si stancavano mai di consigliarci queste cose in particolare prima dell’inizio delle vacanze estive.

Carla mi bacia subito con la bocca aperta poggiando le sue mani sulle mie spalle. Questo gesto, dopo due anni, non mi sembra logorato. Visto che non ricambio il bacio, Lei chiede: "Che cos’è successo?". Ed io rispondo: "Scusa, ero sopra pensiero". Poi ricambio il bacio e Carla mi trascina direttamente attraverso l’ampio corridoio, passando davanti al suo pianoforte, fin nella sua camera da letto. I suoi piedi sui miei, sbattiamo entrambi contro il letto posto al centro della camera. Da una grande finestra si può vedere il mare. Sopra il mare ci sono nuvole sospese, sfilano uccelli, veloci, come fossero trasportati da una nuova tempesta. Mentre Carla mi bacia, sul suo viso c’è un sorriso. Così fa sorridere anche me, e in questo modo condividiamo la sensazione che siamo entrambi molto felici, poiché sappiamo che probabilmente da lì a breve dormiremo insieme. Ci spogliamo in modo relativamente normale. Mi sfilo via dalla testa la felpa non stampata, i miei capelli si caricano di elettricità, mentre Carla sbottona rapidamente la sua camicia. Presto ci ritroviamo distesi in pieno giorno l’uno sull’altra. Carla sembra provare molto piacere: allunga il suo collo all’indietro ed afferra con le mani il mio sedere. So che il mio sedere risulta essere ben allenato e non ho alcun dubbio che ci stiamo avviando al, per quanto un po’ superficiale, orgasmo/ sollevante. E proprio mentre lo penso sta accadendo. Carla alza ed abbassa il suo sopracciglio sinistro, lei mi conosce piuttosto bene. Poi mi sorprende dicendo: "Levati". Quando arretro lei comincia a gingillarsi, in un modo manifestamente emancipato, con le gambe ampiamente divaricate. Nel frattempo io me ne sto seduto, nudo, su di un angolo del letto e guardo fuori della finestra. Carla canticchia tra sé. In breve ho la sensazione di vivere con Carla in una utopica stanza del sesso. Probabilmente perché le nuvole sono state dissolte dalla tempesta, perché ora d’improvviso cade sul nostro letto una calda lama di luce. Presto anche Carla raggiunge una specie di culmine, e subito dopo ci baciamo come ci si bacia quando ci si ama seriamente, dunque quasi in forma asessuata, e dopo diversi e brevi approcci relativamente asciutti tra le nostre bocche ce ne restiamo seduti l’uno accanto all’altra alla luce del sole. Io dico: "Oggi abitiamo un’utopica stanza del sesso". Carla sorride e dice sussurrando di aver sentito la mia mancanza. Nel suo essere del tutto fuor di metafora trovo quest’espressione totalmente adeguata.

Poiché dopo aver fatto sesso siamo presi dalla voglia di dolci chiamiamo il BakeryExpressService. Alla BakeryExpress lavorano esclusivamente studenti di storia dell’arte, spesso fanno cenni incerti e sembra proprio che non amino il loro lavoro, ma questo ovviamente è straordinariamente charmant. Carla in gioventù non ha mai potuto utilizzare il loro servizio poiché i suoi genitori erano contrari a stilizzati servizi a domicilio. Solo durante la nostra relazione ne è diventata una vera e propria fan. Al telefono racconta talvolta ai genitori che stiamo mangiando ancora una volta quei "follemente buoni dolci del servizio a domicilio" e questo da parte sua lo trovo spesso un po’ infantile, visto che i suoi genitori non hanno alcuna intenzione di rivedere la loro opinione. Il padre di Carla è un musicista, la madre una redattrice on-line, conducono una relazione aperta, sono felici ed hanno educato Carla in modo da renderla una ragazza fantastica. Tendenzialmente Carla non ha necessità di lamentarsi.

Il collaboratore che porta i dolci sembra essere timido e ci consegna quanto ordinato in un contenitore di cartone riciclabile. Non si guarda intorno e mi chiedo che razza di studente di storia dell’arte voglia diventare, visto che si trova in un appartamento sconosciuto e non cerca di cogliere, osservando, quanto più possibile. Quando se ne va devo dedurre che il pianoforte nel corridoio non l’ha colpito, quel pianoforte che Carla, con i capelli raccolti, suona così spesso la sera. Possiede una sensibilità musicale forse ancor più accentuata del padre, ma lei al contrario ha deciso di trarre profitto dalla sua musicalità. Ora se ne sta in piedi davanti a me nella zona dell’ingresso dell’appartamento e con la mano porta alla bocca il suo dolce preferito. Quando morde cadono diverse briciole sul pavimento in parquet. Il modo in cui Carla gusta precipitosamente i suoi dolci mi pare sublime, davvero bello, poi lei all’improvviso chiede: "Quando sei diventato davvero quello che sei?" Esito, poi rispondo con voce volutamente sonora: "Ma tu lo sai già, mi conosci piuttosto bene". Lasciamo le briciole nel corridoio e torniamo in camera da letto con il contenitore del dolce. Carla ha scelto alcuni film. Il resto delle ore pomeridiane le passiamo in silenzio.

Nella notte, quando me ne sto disteso a casa sul mio materasso largo un metro e quaranta, penso di scrivere una e-mail a Carla che risponda alla sua domanda: quando sono diventato così? Il mio piano è di andare formalmente al fondo della questione, cominciando dall’inizio.

Sono nato un ventotto di settembre, dev’essersi trattato di un pomeriggio dorato, verso le diciannove. Mia madre ricorda che fuori c’era una temperatura di circa ventuno gradi, ricorda il sole ormai verso il tramonto, e ovviamente il cesto di frutta regalatole dall’ospedale, e ricorda bene anche le mele, i grappoli d’uva e i mandarini contenuti in quel cesto. Cesti di frutta come quelli già da tempo non vengono più donati, né a pazienti privilegiati che pagano extra per la loro assicurazione di malattia di privati, né a pazienti del servizio pubblico, furono regalati solo per un periodo di tre anni ai genitori dei bambini che oggi hanno tra i ventiquattro e i ventisette anni. Wesley una volta ha detto che quelli della nostra fascia d’età saranno indicati per sempre come i bambini del cesto di frutta.

Inoltre, mia madre ricorda il tragitto fatto dall’ospedale a casa. Lei sedeva con me in braccio sul sedile posteriore della limousine di mio zio, il quale all’epoca aveva già ottenuto il suo maggior successo al cinema, con la commedia ‘Mister Cheerleader’, ed era ancora molto lontano dal girare il suo più grande flop, la scurrile commedia erotica ‘CostaCostaCounty’. Durante quel primo viaggio in auto attraverso CobyCounty presumibilmente mia madre mi spiegò già molte cose, indicandomele attraverso i finestrini laterali, sebbene ovviamente sapesse che in quanto appena nato non potessi vedere correttamente.

Iniziai presto a frequentare workshop: su prati, dentro piscine, davanti a schermi piatti. In ogni distretto tuttavia c’erano soprattutto diverse classi artistiche. Ho sempre dipinto male, tuttavia i miei collage con carta colorata erano tra i migliori. Quando avevo dieci anni uno degli insegnanti disse che un giorno con i miei collage avrei potuto guadagnare molti soldi. Poi però con la carta colorata ho lavorato solo quattro mesi e già in età pre-adolescenziale ho deciso che non mi sarei addentrato nelle arti figurative. ‘La mia strada sarà un’altra’, pensai allora, e pensai questo come intitolazione per tutto il possibile che sarebbe avvenuto negli anni successivi.

Wesley l’ho conosciuto durante un corso di hockey su ghiaccio, che peraltro entrambi interrompemmo presto. Allora avremmo avuto all’incirca undici anni e non ricordo esattamente quando, più o meno quando avevamo quindici anni, il tempo dei workshop era ormai alle spalle ed iniziò la fase delle romanzate, delle separazioni e dei party in spiaggia. In sostanza, penso ogni tanto, quella fase perdura tutt’oggi, forse è addirittura per sempre. poiché il diventare adulti è un processo eterno. Sono orgoglioso di non aver mai frequentato un corso di yoga. E mi rallegro quotidianamente di non essere un cuoco virtuoso. Guardando a ritroso ho la sensazione di essere rimasto sempre fedele ad una certa linea, di essermi mosso costantemente seguendo quella linea, così sono diventato Wim Endersson, quello che oggi lavora con successo per Calvin Van Persy e che di regola va a letto con la talentuosa Carla Soderburg. È difficile dire in che cosa consista questa linea di condotta, ma certo ha a che fare con le mie inclinazioni e con le mie preferenze. E queste inclinazioni e preferenze si sono formate probabilmente nel periodo compreso tra il viaggio in auto sul sedile posteriore della limousine di mio zio ed il primo corso d’arte all’età di tre anni e mezzo, dunque in un periodo del quale non posso ricordare nulla.

Mentre mi passano per la testa queste connessioni e quegli eventi valuto come sempre meno significativo il fatto di scrivere tutto questo ancora una volta a Carla via e-mail. Poiché lei conosce tutto questo già da tempo, o almeno dovrebbe immaginarselo. E questo gliel’ho accennato già quand’eravamo nel suo corridoio, quando le ho detto che lei mi conosce piuttosto bene.

Il diciassette febbraio, esattamente tre settimane prima del venticinquesimo compleanno di Carla, ed esattamente due settimane prima dell’inizio della primavera, voglio incontrarmi con Wesley presso la fontana della galleria commerciale Coleman&Aura. In quel luogo non ci siamo ancora mai incontrati ed al telefono ho sentito Wesley parlare insolitamente a bassa voce e con tono ovattato. La copertura della galleria consiste di un numero infinito di quadrati di vetro color latte, i quali frazionano significativamente le luce del sole. Inoltre qua e là sono posizionati dei faretti, risulta esserci dunque così tanta luce che il suo viso rispecchiato sulle vetrine dei negozi lo si coglie come particolarmente proporzionato. Si tratta di un luogo indicato piuttosto per signore anziane, penso mentre intravedo Wesley in lontananza. È seduto su di un angolo della fontana e sta mangiando un sandwich col pesce. "Come stai?", chiedo. Wesley s’è sistemato i capelli color biondo scuro dietro le orecchie. Dà l’idea di averli prima immersi in acqua salata, poi di non averli lavati, sfregandoli solamente per farli asciugare.

"Ho parlato al telefono con mia madre. Non se la passa troppo bene. Sta piuttosto male."

"Dunque tornerà presto."

Wesley scuote la testa: "No, questo no sicuramente. Al contrario. È molto preoccupata per noi…continuerà con quelle esercitazioni e su questo si può pensare quel che si vuole, ma da ultimo lei ha lavorato con vecchie registrazioni su video, dove eravamo presenti anche noi. Noi due all’età di sedici anni…e da allora non le vuole più uscire dalla testa una scena precisa." Wesley sembra volersi concentrare così tanto su ciò che sta dicendo che depone tra noi due il sandwich che stava mangiando: "Mia madre ha costantemente davanti agli occhi la scena nella quale noi due camminiamo sulla spiaggia nel crepuscolo. Indossiamo giubbetti in nylon così larghi che ad una prima occhiata sembra avessimo allora almeno diciassette anni, e in ogni i nostri visi già allora avevano assunto l’aspetto di quelli degli adulti da tempo. Corriamo sulla spiaggia e ridiamo…finché ad un certo punto crolliamo. L’intera spiaggia collassa sotto i nostri piedi. Come se la sabbia fosse stata accumulata su di una fragile cupola, e sotto quella cupola si trovasse un enorme padiglione vuoto…mia madre vede ora quella scena durante ogni seduta. Immagina che sia cresciuto un pericolo interiore, in ognuno di noi due. Un pericolo che percepiremo durante questa primavera, un pericolo che percepirà l’intera CobyCounty…a meno che non abbandoniamo la città."

Afferro il sandwich col pesce che lui ha posato tra di noi: "Tieni conto del fatto che tua madre è una neo-spiritualista?"

"Mia madre ha trascorso gran parte della sua vita a CobyCounty, Wim, esattamente come noi. Lei conosce noi e conosce la città, e lei non mi ha mai mentito."

Di fronte alla galleria stringo gli occhi, la luce del giorno mi sembra ora troppo chiara. E’ arrivato un taxi color crema e Wesley, mentre si allontana, ammicca ancora una volta. Quando l’auto parte lui abbassa il finestrino in vetro fumè e grida qualcosa che io non riesco a capire. Non sono certo che Wesley colga la mia rasatura, vedo il taxi svoltare e poi butto l’occhio sul mio cellulare: nessun messaggio da parte di Carla. È un pomeriggio del tutto senza vento, in lontananza si sente il rumoreggiare del mare, ed il sole comincia ormai a battere forte.

 

 

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